Sono «solo» ottantatré – selezionate tra migliaia di scatti – le immagini che finiscono per raccontare, in un libro storico, l’America secondo Robert Frank (The Americans, in Italia edito da Contrasto). Lo fanno rispettando lo sguardo del fotografo che le ha raccolte in giro per gli Stati uniti, macinando chilometri, puntando l’obiettivo fuori dai finestrini della sua sgarrupata macchina, a volte in corsa, sfocando il soggetto pur di catturarlo

È il ritratto-puzzle di un paese «sporco», senza infingimenti, in cui – come in un film – scorrono i volti anonimi degli abitanti di 48 stati, i loro corpi infagottati nella quotidianità, gli oggetti di consumo, le vetrine dei negozi, le strade infinite, gli autobus zeppi, le loro case dal sapore seriale. È il lavoro di un artista europeo che cerca di assumere il punto di vista dell’America ma non può che stravolgerlo nel ricercare una sua unicità impossibile. «Molte macchine, altrettante persone, città terrificanti, persone laboriose e questo grande paese in cui tutti parlano in una sola lingua…», dirà poi.

Americani è un «on the road» nato a metà degli anni ’50 con una borsa di studio della Fondazione Guggenheim che quel giovane fotografo (era nato a Zurigo ma aveva lasciato la Svizzera a 23 anni per asfissia artistica) si era aggiudicato. Il libro uscì nel ’58 inizialmente a Parigi, ma poi nell’edizione statunitense il volume acquistò la sua identità definitiva con l’introduzione di Jack Kerouac, gemello di spirito di Frank (con il quale poi esplorerà la Florida in un vagabondaggio condiviso). Lo scrittore beat carpì l’essenza di quelle immagini in aspro contrasto con il sogno americano, sottolineando la ballata esistenziale incisa da «un poeta tragico».
Se l’ispirazione per Frank era nata osservando il modo di lavorare di Walker Evans, il risultato raggiunto è ormai qualcosa che riguarda solo lui: un’idea di reportage in frammenti da ricomporre come una sequenza non ordinata, senza scarti né montaggi a inficiare la presa diretta.