Fino al 31 maggio, c’è tempo per consegnare ai centri Caf il proprio 730 e, decisione importante, scegliere a chi dare l’8 per mille dell’Irpef. La scelta riguarda tutti, anche i lavoratori dipendenti e i pensionati che l’imposta l’hanno già versata. Di questo si parla oggi.

Come ricorderanno i più vecchi fra noi, la norma è stata introdotta con il nuovo concordato voluto da Bettino Craxi, poi diventato legge 222 nel 1985. Dice l’articolo 47: «A decorrere dall’anno finanziario 1990 una quota pari all’otto per mille dell’imposta sul reddito delle persone fisiche…è destinata in parte a scopi di interesse sociale o di carattere umanitario a diretta gestione statale e, in parte, a scopi di carattere religioso a diretta gestione della Chiesa cattolica».

Dal 1990 ad ora, a queste due scelte se ne sono aggiunte altre dieci indicanti altrettante chiese, o fedi religiose (le ultime sono state il buddismo e l’induismo). Ma il meccanismo è rimasto inalterato, anche per le fortissime pressioni di chi, da tutto ciò, ci guadagna di più. Indovinate chi è.
Le cifre per saperlo le raccolgono, con pazienza certosina, soltanto due soggetti, il Partito radicale e l’Unione atei e agnostici razionalisti. Lo stato, che pure dovrebbe essere interessato a sapere quanto può utilizzare per 1. la fame nel mondo 2. i rifugiati 3. le calamità naturali 4. i beni culturali (regolamento di recente aggiornato), se ne frega così tanto che non ha mai fatto una riga di pubblicità a proprio favore.

La pubblicità vi sta arrivando, invece, e a valanga, da parte di «chiediloaloro», cioè dalla Cei, che naturalmente usa i fondi 8 per mille per pagarla. Il messaggio pubblicitario, fra l’altro, è truffaldino poiché vi induce a pensare che tutto il ricavato venga distribuito alle opere di carità e di assistenza. Manco per niente. Soltanto il 20% dei milioni intascati viene impiegato nella carità (il 7% al terzo mondo). Il grosso va nello stipendio ai religiosi e, ultimamente, nella costruzione di nuove chiese.
Poco più di un mese fa, i radicali hanno depositato in Cassazione, fra altri, un quesito referendario che riguarda proprio la modifica della destinazione dell’8 per mille, una modifica che consenta una differente distribuzione del tesoretto raccolto. Un’ottima occasione, dunque. Ma non sarebbe male anche verificare la possibilità di abbassare quel famoso 8, considerando che, in quarto di secolo, i versamenti sono cresciuti a dismisura grazie all’aumento dell’imposizione fiscale, del reddito e del recupero dell’evasione.

Non si può fare, strilleranno subito i giuristi filovaticani, la 222 è un accordo fra due stati. Già, oltretevere ci si ricorda di essere uno stato straniero solo in talune occasioni.
Tuttavia, gli strilloni possono essere zittiti proprio dalla legge medesima. L’articolo 49, infatti, recita che «al termine di ogni triennio successivo al 1989, una apposita commissione paritetica, nominata dall’autorità governativa e dalla Cei, procede…alla valutazione del gettito della quota Irpef di cui all’art.47 al fine di predisporre eventuali modifiche».

Concludiamo di nuovo con i dati.
Nel 1990, alla Chiesa cattolica andarono 200 milioni di euro, per il 2012 ne riceverà 1 miliardo e 148 milioni. Sei volte la cifra di partenza. Alle altre chiese vanno, in confronto, le briciole.
I cattolici spuntano (o meglio spuntavano, perché negli ultimi anni stanno calando) l’88-89 % delle scelte espresse. Il fatto assurdo è che, in base alla legge, si assicurano una quota identica delle scelte non fatte: «In caso di scelte non espresse da parte dei contribuenti, la destinazione si stabilisce in proporzione alle scelte espresse» (art. 47, terzo comma). Una regola odiosa, soprattutto perché poco pubblicizzata. Perciò ricordate: se non scegliete lo stato, o un’altra confessione religiosa, in pratica li date alla Cei. Fate voi.