Sono trascorsi oltre cinquecentocinquanta anni da quando papa Sisto IV, nella sua «immensa benevolenza», restituì per opportunità politica al popolo di Roma le testimonianze dell’antico splendore, creando di fatto il primo esempio di un’istituzione, il museo, che attraverso una proliferazione dapprima lenta e circoscritta, poi quasi vertiginosa, oggi è presente in ogni continente abitato dall’uomo, eccetto l’Antartico.

«Fra i primi luoghi pubblici a essere riaperti dopo guerre e altri cataclismi c’è proprio il museo; non lo si può toccare senza suscitare subito reazioni appassionate. Possiamo anche non andarci, ma per la tranquillità della collettività e dei singoli serve che resti al suo posto, insieme a tutto ciò che contiene, e che sia possibile visitarlo, nel rispetto dei regolamenti in vigore. Ciò avviene perché le nostre società relegano a un ruolo marginale il riferimento all’aldilà e all’eternità (…) e viceversa assegnano una posizione dominante a credenze ideologiche assai più recenti, orientate verso un futuro terreno che si suppone trascendere ogni limite». La plurisecolare vicenda del museo è stata magistralmente riassunta da Krzysztof Pomian (1934) nel suo monumentale lavoro in tre volumi Il museo. Una storia mondiale. Originariamente editi in Francia da Gallimard, la pubblicazione italiana dell’opera ha da poco trovato completamento – dopo l’uscita de Dal tesoro al museo (2021) e L’affermazione europea, 1789-1850 (2022) – con il tomo dal titolo: Alla conquista del mondo 1850-2020 (pp. 680, Einaudi, pp. 650, € 95,00, traduzioni di Luca Bianco, Chiara Bongiovanni e Raffaela Valiani).

Com’era prevedibile, dato il tema, questo ultimo libro è il più ricco e ponderoso del trittico. Pomian, avendo in precedenza considerato le origini, gli archetipi e quindi l’evoluzione del museo nei paesi toccati dagli ideali dell’Illuminismo, affronta qui il periodo in cui l’istituzione museale accede a una fase di sviluppo sempre più rapido, solo temporaneamente frenato dalle guerre mondiali, diffondendosi fino a diventare un fenomeno globale.

Nella prospettiva storico-filosofica dell’autore, il progresso e la propagazione del museo sono aspetti tra loro strettamente correlati che vanno analizzati usando una duplice cornice, geografica e cronologica, entro cui di volta in volta traguardare le nuove questioni che di continuo emergono. Il libro inizia dunque dall’Europa occidentale e riparte dall’Esposizione universale di Londra del 1851, per passare quindi a descrivere i luoghi e i modi in cui il museo attecchisce negli altri continenti accompagnando i grandi flussi migratori e le colonizzazioni. Nei decenni fino alla Grande guerra, infatti, il museo si diversifica, annettendo ai propri campi tradizionali – arte, archeologia e storia naturale – anche la storia civile e militare, la scienza, la tecnologia, i costumi. Così «incorpora la globalizzazione accogliendo i prodotti delle civiltà esotiche o “primitive”; (…) si apre a pubblici che prima ignorava, e questo lo obbliga ad adattare l’allestimento interno, la segnaletica e le esposizioni a visitatori più numerosi e meno preparati ad accedervi». Dunque tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo il museo si impone quale elemento strutturale della civiltà moderna, oltre che spazio caratterizzante del paesaggio urbano e culturale. La moltiplicazione quasi esponenziale di collezioni e sedi museali promuove la definizione di nuove professioni e regolamentazioni, e l’autore fornisce precisazioni storiche puntuali anche sulla maniera in cui un intero ambito disciplinare si estende e si articola.

Novembre 1945: Karol Estreicher con una delle sculture di Veit Stoss trafugate dai tedeschi in Polonia nel 1939

Gli sconvolgimenti provocati dal primo conflitto mondiale hanno ripercussioni profonde, che negli anni successivi interessano ogni tipo di museo e infine si radicalizzano, soprattutto quando i regimi totalitari cooptano i musei come strumenti di propaganda e proselitismo. La Seconda guerra infine è un periodo di convulsi «spostamenti», durante il quale opere e beni «vengono evacuati e messi al sicuro, ma anche saccheggiati e distrutti in misura mai conosciuta prima». A quel momento drammatico segue un lento e ancora incompiuto processo di restituzione delle opere.

Nel corso del Novecento gli Stati Uniti subentrano all’Europa nel ruolo di paese trainante nelle innovazioni museali. Pomian dedica ampio rilievo all’esperienza americana: ne ripercorre le tappe, indica i modelli architettonici e gestionali – dallo Smithsonian al MoMa –, ricorda i collezionisti e i grandi donatori, illustra i temi legati alla natura peculiare del rapporto tra mercato e pubblico.
L’ultimo capitolo racconta una storia nella quale il mondo viene rappresentato come un unico, organico insieme percorso da tendenze simili che però investono le varie zone secondo ritmi spesso sfalsati. Seguendo la crescita industriale e le istanze della politica nelle loro numerose declinazioni, il fenomeno della proliferazione dei musei assume i tratti di una specie di bolla speculativa, un «boom». Così, in coda al saggio, Pomian condensa argomenti e protagonisti della fase post-colonialista, concedendosi anche un approfondimento sul tema del «rimpatrio» dei beni culturali ai loro rispettivi paesi di origine, dove frattanto sono sorti enti e istituti.

In quanto invenzione utile alla vita sociale, il museo è da sempre in trasformazione e ciò induce Pomian a interrogarsi sul suo destino, giungendo a prospettare uno scenario tutto sommato ottimista. Perché, spiega, nella «misura in cui (i musei) sono legati alle ideologie – credenze collettive venute dopo la religione – e fintantoché tali credenze non saranno rimpiazzate da altre, differenti per principio, che non sappiamo nemmeno immaginare, i musei conserveranno il loro posto centrale fra le istituzioni che mantengono la coesione della collettività e ne rispecchiano l’identità». E ancora: «nato quando le credenze passatiste hanno iniziato a sgretolarsi, il museo viene a maturità e prospera in un mondo futurocentrico».

Metodico e chiarificatore, Pomian riesce nell’impresa di mappare un terreno accidentato qual è il «lungo presente» del museo evitando di cedere anche surrettiziamente alla polemica, cercando un approccio obiettivo nella presentazione dei fatti senza mai pretendere, né contestare, una «neutralità» di giudizio. Questo terzo volume non fa che ribadire l’importanza di un’opera che, dosando accortamente erudizione e fruibilità, consente a chiunque ne abbia desiderio di capire meglio cosa sia e come funzioni quel «luogo bizzarro» chiamato museo.