Kris Kristofferson, la voce di una star ribelle
Icone Addio all’attore e cantante texano, archetipo dell’outlaw country, protagonista della New Hollywood
Icone Addio all’attore e cantante texano, archetipo dell’outlaw country, protagonista della New Hollywood
Con quella «voce impastata di whisky e mascella di granito», come nota il ricordo della Bbc, Kris Kristofferson – morto a 88 anni nelle Hawaii, non poteva che essere predestinato alla fama che avrebbe avuto su vinile e celluloide. Ma la sua traiettoria di stella del country ebbe origini a dir poco atipiche. Nato sul confine messicano, a Brownsville, Texas, da padre ufficiale dell’esercito, con la famiglia si trasferisce adolescente in California. Studia letteratura e filosofia al prestigioso Pomona College e poi a Oxford dove arriva con una borsa da Rhodes scholar. È anche atleta, campione di pugilato, rugby e football americano.
SPINTO dal padre verso la carriera militare che lo vedrà diventare ufficiale pilota di elicotteri, in seguito lascerà l’esercito. Più avanti ricorderà, «a partire dai corsi militari all’università, a casa era dato per scontato che avrei seguito quella strada. Per la mia generazione in quell’ambiente era scontato l’onore di servire il tuo paese. Ma giunsi ben resto a capire cosa si intendesse per questo, e cosa veniva realmente fatto nel tuo nome».
Lasciata la buona società patriottica per lavoretti e stanze affittate a settimana, arriva a Nashville dove sbarca il lunario da barista e, mentre scrive canzoni, custode agli studios di registrazione della Columbia (dove Bob Dylan stava registrando Blonde on Blonde). Qui incontra June Carter a cui consegna un demo tape chiedendogli di consegnarlo al marito, Johnny Cash (quando questo non funziona atterrerà con un elicottero sulla tenuta del cantante.) I suoi tentativi hanno esito quando Cash registrerà la sua Sunday mornin’ comin’ down ed ora del 1970, Kristofferson è insignito del songwriter of the year ai Country Music Association Awards.L’esercito, l’arrivo a Nashville, l’incontro con Cash e la musica, l’impegno politico, la contestazione
COME AUTORE ed interprete è presto consacrato come archetipo di outlaw country, la cui apoteosi più tardi saranno i Highwaymen, super gruppo di cui farà parte con Cash, Waylon Jennings e Willie Nelson. Con un’altra sua canzone, Me and Bobby McGee scritta quando ancora pilotava elicotteri di spola sulle piattaforme petrolifere a largo della Louisiana, arriverà la fama nazionale grazie soprattutto all’incisione di Janis Joplin, una hit che lo consacra figura «crossover» fra musica tradizionale e contestazione controculturale.
Contemporaneamente, forse inevitabilmente vista la ruvida bellezza, diventa icona maschile del cinema seventies, involucro perfetto di ribelle sensualità e romantico sex symbol per una emergente New Hollywood. Quella carriera prese il via dopo una serie di concerti di apertura per Linda Rondstadt al Troubadour di West Hollywood. In sala c’erano «un sacco di gente del cinema», come ricorderà in seguito, ma la prima scrittura è quella di Dennis Hopper per il suo seguito ad Easy Rider – Last Movie. Il film, girato in Perù con, tra gli altri, Peter Fonda, Sam Fuller e Thomas Milian rischiò davvero di chiudere la carriera di Hopper dopo la stroncatura di critica e pubblico, ma per Kristofferson fu solo l’inizio di una tragitto che traghettò l’estetica outlaw nel cinema d’autore degli anni 70.
Da «Convoy», a «È nata una stella», fino alla riscoperta delle nuove generazioni
Dopo il bohemian noir Cisco Pike (1972), con Gene Hackman e co- sceneggiato da Robert Towne (Chinatown) e la commedia indie Una pazza storia d’amore (1973) di Paul Mazursky, il western «alternativo» Pat Garrett e Billy the Kid lo avrebbe portato alla collaborazione con Sam Peckinpah. Per lo stesso regista avrebbe girato Voglio la testa di Garcia, un western contemporaneo con Warren Oates, e Convoy allegoria pre-trumpiana di ribellione populista (ma in chiave anti autoritaria). Altri ruoli degni di nota sono nell’Alice non abita più qui di Scorsese (1974) e in È nata una stella (1976) con Barbra Streisand (che cinque anni fa ispirerà il remake di Bradley Coooper con Lady Gaga). Nel 1980 Kristofferson sarà lo sceriffo James Averill ne I cancelli del cielo per Michael Cimino, il magnifico fallimento che idealmente chiude, almeno in parte, l’era New Hollywood, trascinando con se la United Artist in un leggendario flop.
Segnerà la fine dei film di smisurata ambizione artistica e catastrofiche sorti commerciali. Kristofferson continuerà invece a lavorare in dozzine di film, rimanendo però ai margini del cinema d’autore, salvo essere «riscoperto» da una nuova generazione di registi come ad esempio John Sayles che lo scrittura per l’amaro giallo texano Lone Star (1996) e la satira su George Bush Silver City (2004). L’ultimo ruolo è del 2018, in Blaze, biopic sul cantante country Blaze Foley, firmato da Ethan Hawke. Una carriera, in musica e cinema, segnata anche dalla coerenza e l’impegno politico. Ai suoi testi, in netta controtendenza con la vocazione conservatrice del pubblico country, lui stesso ascrisse sempre l’assenza di un maggiore successo. Nella biografia pubblicata nel 2010 da Stephen Miller, afferma: «Trovai una singolare diminuzione nelle offerte di lavoro dopo che ebbi partecipato ai concerti a favore dei bambini palestinesi». Il riferimento è ad alcuni eventi di beneficenza per gli orfani della Palestina organizzati negli anni 80 e 90 da Vanessa Redgrave.
FRA LE MOLTE commemorazioni apparse online ieri, spicca quella di Tom Morello (dei Rage Against the Machine). Il cantante ha postato una clip di un duetto di Working Class Hero di John Lennon, accompagnata da una citazione dello stesso Kristofferson: «Sono stato in Nicaragua coi Sandinisti. Ho lottato per Leonard Peltier e Mumia Abu-Jamal, per i campesinos della United Farm Workers. Forse avrei venduto di più come ‘redneck’ di destra. Ma ho preferito cantare la verità come l’ho vista».
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