«Nell’inverno del 2022 abbiamo trascorso cento giorni con alcuni ospiti di due comunità terapeutiche del Dipartimento di Salute Mentale della Asl Roma 1, con i loro famigliari e con il personale sanitario. Grazie alla loro disponibilità abbiamo potuto osservare e filmare alcune esperienze di vita e di cure».
Presentato alla Festa del Cinema di Roma, Kripton di Francesco Munzi inizia con questa didascalia che indica un perimetro preciso e un contesto nel quale agisce una collettività. Poi arrivano le immagini e i confini si dilatano. I luoghi sono sempre gli stessi, quelli indicati nella premessa. Ma a imporsi all’attenzione sono altri spazi, quelli della mente, che non si misurano in metri e cubature e che sono impossibili da delimitare.

TRA LE MURA delle strutture psichiatriche, fragilità, emozioni, dolori, serenità, incomprensioni, inadeguatezze, frustrazioni, si espandono rendendo complessa ogni ipotesi di risposta a una semplice domanda: cosa siamo in grado di fare? Lo chiedono Dimitri, Marco Antonio, Okoro, Georgiana, Emerson, Silvia che pongono il quesito, ognuno con il proprio disagio, ognuno con una percezione di sé diversa da quella degli altri. Alcuni sono consapevoli di ciò che li affligge, altri no. Non sanno da cosa dipenda, perché quell’indefinibile malessere sia insorto, avvertono comunque che qualcosa non va, che non sono in sintonia con l’universo. Nella loro unicità, tutti però si confrontano con il presente e con quello che potrebbe essere il futuro immediato. Il lavoro, il cibo, la religione diventano elementi rivelatori di esistenze che avvertono un conflitto interiore ed esteriore e che non possono in alcun modo seppellire in un angolo remoto della mente, fino a dimenticarlo e rimuoverlo. E, dunque, cosa sarò domani?

Come andare avanti, è anche il dilemma di madri e padri, di sorelle e fratelli, di chi è disorientato, arrabbiato, speranzoso, combattivo, dimesso. Kripton, oltre a essere un film su sei giovani vite sull’orlo di un baratro fisico ed esistenziale, è un ottimo documentario sul mondo circostante. Su chi, per non arrendersi, vorrebbe sentirsi dire che quel giorno tutto si sistemerà.
Quella frase rassicurante tuttavia non arriva. Perciò, si può solo continuare dentro un percorso che prevede passi avanti e indietro, delusioni e soddisfazioni. E in quei cento giorni dell’inverno 2022, Munzi ha osservato senza virtuosismi e tentativi di nascondere la videocamera. È stato testimone di sentimenti positivi e negativi, soprattutto di relazioni vicine a frantumarsi in mille pezzi, con una delicatezza che non è sinonimo di omissione.

INFINE, a quella domanda sul che fare, rispondono psichiatri e, in generale, l’intero personale delle comunità che affrontano quotidianamente una richiesta d’aiuto sovrastante rispetto ai mezzi a disposizione. Il loro è un compito complesso, un gioco d’equilibrio tra la razionalità delle terapie e l’imprevedibilità degli ospiti e dei famigliari. Un lavoro lento che non sembra dare risultati immediati e che mette in conto l’eventualità di un fallimento o di una ricaduta. Eppure in quell’essere prossimi alla sofferenza, nell’ostinarsi ad avvicinare le parti, a stimolarle per affrontare paure e incertezze, si intravede l’ombra di un piccolo e meritato successo che politiche insensate vorrebbero cancellare con spietati tagli al bilancio.