Visioni

Krano: «canto in dialetto per abbattere frontiere»

foto Krano in concertoKrano

Musica L’artista veneto pubblica il suo secondo album «Lentius profundius suavius»

Pubblicato 12 mesi faEdizione del 7 ottobre 2023

Era arrivato quasi a sorpresa, ormai sette anni fa, il primo disco solista di Krano, Requiescat in Plavem. Otto brani tra folk e blues, maliconici, sghembi, scritti nella lingua del quartier del Piave, un dialetto localissimo e cantato in modo quasi incomprensibile, di cui resta il sentore, il sapore di vino e acqua che scorre, di stagioni che ritornano quasi immutate, non fosse per le vicende umane, da secoli. Ora il musicista veneto, da anni trapiantato a Torino e attivo in molti progetti come La Piramide di Sangue e Movie Star Junkies, torna con il nuovo Lentius profundius suavius, sempre pubblicato dalla bolognese Maple Death. I brani sono più cupi e oscuri rispetto al primo disco, è come se gli spettri della solitudine e della morte fossero lì a incombere su Krano e su tutti noi. In alcuni episodi però emerge un senso di speranza, di leggerezza, che affiora da un lavoro che, per stile musicale e uso della lingua, suona davvero senza tempo, anche a causa di una gestazione lenta e inattuale rispetto ai ritmi forsennati della discografia.

«LA MAGGIOR parte del materiale è stato composto prima del 2016, mentre alcuni brani risalgono al 2012, scartati dal disco precedente perché non mi sembravano coerenti», racconta Krano. «In questi anni ho dato priorità ad altri progetti, fino a che non ho sentito che fosse arrivato il momento giusto per tornare». La maggior parte dei brani sono stati registrati in solitudine da Krano grazie a un registratore portatile, altri sono stati realizzati in studio accompagnato dalla band, in presa diretta. Tra i riferimenti dichiarati, ci sono nomi come Piero Ciampi, Vic Chesnutt, Nick Drake.

“Mi sono ispirato a Alexander Langer nel titolo: ad attirarmi non è stato il messaggio di pace in sé, ma la sua presa di coscienza che la pace fosse un’utopia”

IL TITOLO del disco riprende invece il motto di Alexander Langer, il politico sudtirolese ambientalista e pacificista, morto suicida nel 1995 durante la guerra nella ex Jugoslavia. «Ho scoperto la sua figura tramite un amico appassionato di montagna. Quello che mi ha attirato di Langer non è stato il messaggio di pace in sé, ma la sua presa di coscienza che la pace fosse un’utopia», riflette Krano. «Ho deciso di richiamare il suo motto sia per l’immaginario in sé, sia perché mi sembrava che questo disco suonasse a suo modo lento, cupo, profondo e a tratti soave».

SE C’È UN ASPETTO in cui l’influenza di Alexander Langer può aver agito, in modo sotterraneo e decisivo, sulla musica di Krano, è proprio quello della lingua. La scelta di cantare in un dialetto ultralocale, parlato nei territori di pochi comuni tra le colline trevigiane, può sembrare apparentemente in contrasto con il messaggio di una delle figure più importanti del pacifismo italiano, contrario a ogni tipo di frontiera, schierato contro le divisioni etniche tanto del suo Sudtirol che della Jugoslavia lacerata. Ma il dialetto di Krano, quello che si parla tra Valdobbiadene e Refrontolo, si dissolve in una lingua pura, universale, le parole perdono quasi di importanza e di significato per diventare tutt’uno con la musica e con l’atmosfera complessiva creata dall’album.
«Per me se l’intento che si vuole trasmettere arriva e viene percepito nonostante non si comprendano le parole, allora la lingua con cui ci si esprime non è importante», spiega. «E questo ancora di più in una regione come il Veneto, dove invece la lingua stessa viene usata purtroppo per innalzare ancora più barriere». Il primo disco Requiescat in Plavem, del resto, rappresentava una sorta di addio a questi luoghi, un modo per chiudere i conti con un mondo da cui Krano ha deciso di andarsene per non tornare. «Quello con il Veneto per me rimane un rapporto difficile, perché non mi sento né accettato né compreso».
Dopo l’uscita del disco Krano è tornato a presentare l’album dal vivo, in versione solista, in una delle ultime date durante il festival della label Maple Death, a Bologna. «La mia speranza è quella di tornare a suonare questo disco con la band. Ci stiamo lavorando».

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