Korff, dalla regola alla vita: Sturm und Drang!
Un tempo esisteva la Geistesgeschichte, la storia dello spirito. A sentirla nominare oggi, questa parola reca con sé un’aria vetusta, polverosa, fa pensare a qualcosa di irrimediabilmente anacronistico. L’associazione più immediata è con la filosofia di Hegel e più in generale con quella complessa alchimia del pensiero occidentale che va sotto il nome di idealismo. I nomi sono noti: Kant, Fichte, Hegel, Schelling e intorno ad essi un nugolo di figure che i nostri manuali classificano come minori. Insomma, si tratta di un capitolo di storia del pensiero, che sappiamo essere stato di straordinaria importanza, ma che ormai la communis opinio, a partire dagli ultimi decenni del secolo scorso, ha definitivamente assegnato all’ampio arsenale degli strumenti inservibili. L’idealismo, in particolare il sistema hegeliano, pare che ormai serva solo ad alimentare quella macchina tristemente autoreferenziale che sono diventati i dipartimenti universitari di scienze umane: un campo di sofisticate sperimentazioni filologiche e di ipotesi ermeneutiche sganciate da qualsiasi appiglio storico.
Eppure, le parole si portano dietro una scia che non sollecita soltanto la filologia ma anche il gusto della riscoperta di un passato sepolto sotto le rovine, in cui Benjamin vedeva l’esito tragico del progresso. Ci sono parole, e Geistesgeschichte è una di quelle, che appaiono come ‘oggetti desueti’, quegli oggetti che Francesco Orlando vedeva di casa nella letteratura, oggetti da cui è difficile prendere congedo definitivamente e che anzi continuano a sedurci proprio in grazia del loro anacronismo.
Il termine Geist, associato al tempo storico in cui si è svolta la vicenda artistica di Goethe, svetta nel titolo della monumentale opera di Hermann August Korff, Lo spirito dell’età di Goethe, che una non meno desueta ma meritoria intrapresa editoriale consente finalmente di leggere in traduzione italiana: per ora il primo di quattro volumi – l’edizione originale è del 1923 –, che ci auguriamo vivamente di vedere tutti editati nei prossimi anni (I. Sturm und Drang, a cura di Giampiero Moretti, Marsilio «Firmamenti», pp. XX-427, euro 45,00). Dinanzi al titolo di questo capolavoro di dedizione ideale al mondo di ieri, la domanda che dunque viene da porsi è: cosa si deve intendere con ‘spirito’?
Korff lo spiega nelle ottanta pagine di un magistrale saggio introduttivo, che da solo vale non meno della trattazione che lo segue. Magistrale nel senso letterale della parola: il saggio di un maestro per il quale letteratura e filosofia sono le due facce complementari di un bisogno primario della vita umana, quello di dare veste mitopoietica al sapere. E non solo al sapere logico-razionale ma anche all’intelligenza che nasce dalle emozioni. La pura razionalità discorsiva, infatti, non appaga lo streben, il tendere vitale verso l’assoluto, solo il fare poetico può soddisfare compiutamente questo bisogno.
Geist è anzitutto un concetto correlato a quelli di idea e di vita e con essi compone una costellazione che è insieme ideale ed esistenziale: «L’espediente più sicuro a cui l’idea può ricorrere per affermare se stessa nei confronti dell’eterno mutare della vita è quello di svilupparsi insieme alla vita». E Geist è anche «la direzione comune che caratterizza il processo di formazione delle idee a partire da una precisa e storica condizione vitale». Il libro di Korff assume quindi la Goethezeit non come un blocco monolitico in cui svetta il genio del sublime artefice da cui prende il nome, ma come una sorta di stratigrafia sentimentale in cui si possono distinguere i momenti diversi dell’idealismo tedesco. Il primo è appunto lo Sturm und Drang, il movimento poetico che si fonda su un’idea di cultura che l’autore non esita a chiamare «irrazionalistica» perché si oppone all’idea di progresso secolarizzato dell’illuminismo, al suo ‘naturalismo’ desacralizzato nato in opposizione al ‘sovrannaturalismo’ cristiano.
Nella seconda fase della Goethezeit «la guida della storia delle idee passa per la prima volta alla filosofia», che sostituisce all’«ebbrezza del sentimento» dello Sturm und Drang l’impresa filosofica epocale di Kant. Schiller anzitutto, ma anche Goethe, ne saranno influenzati profondamente e lo testimoniano gli scritti storico-filosofici del primo e il carteggio tra i due negli anni che precedono la fine del secolo XVIII. Korff lo chiama «idealismo della ragione» a cui seguirà, nel suo diagramma epocale, il periodo classico «sotto il segno di una poesia filosofica che trova la propria rappresentazione nel Wilhelm Meister e nel Faust». In questa fase eticità e dimensione estetica si compenetrano e la bellezza ideale si fa carico delle ragioni del bene e del senso superiore dell’agire umano. Infine l’età del romanticismo, del primo e del secondo, vale a dire di quello jenese che rilegge l’Antico dalla specola del Moderno e di quello della Hochromantik, del dispiegamento pieno della nuova poesia, che all’idealismo umanistico sostituirà l’idealismo romantico.
Questo schema storiografico ripercorre dunque le stazioni di un pensiero, sebbene l’oggetto a cui si applica tale pensiero sia la letteratura: la parola poetica vive delle idee di chi la usa. Lo dimostra chiaramente, secondo Korff, la genesi stessa della Goethezeit. Tutto ha inizio da Rousseau, è lui che determina la grande frattura da cui la nuova età ha preso avvio. Decisive non furono dunque le influenze inglesi di Shakespeare, di Ossian e dei canti popolari, né le liriche ispirate di Klopstock, né «il Vangelo in forma oracolare» di Hamann, ma il passo di carica con cui Rousseau attaccò il «più alto valore portante» dell’Illuminismo, vale a dire l’dea di cultura. «Nello scossone alla valutazione della cultura razionalistica l’irrazionalismo ottenne la sua prima grande e decisiva vittoria, di cui anche la poesia dello Sturm und Drang risuona».
La metaforica musicale qui usata da Korff è un tratto frequente della Goethezeit e in particolare della poetica del primo romanticismo. Non a caso ciò che del Wilhelm Meister goethiano attrae Friedrich Schlegel non è la teleologia dell’azione, il cui esito avrebbe dovuto essere la formazione compiuta dell’eroe protagonista, ma l’«armonia di dissonanze» che l’opera rivela a chi sa penetrarne l’essenza con la giusta dose di intuizione ermeneutica.
Alla compostezza armonica della figurazione classica, in cui l’Illuminismo vedeva il trionfo dello spirito razionale dell’artefice, la Goethezeit, fin dai suoi esordi nello Sturm und Drang, opporrà la vitalità anarchica del genio che si sottrae alle costrizioni formali imposte dalle regole compositive razionali. Perché alla poesia e all’espressione artistica in genere è più consona la cifratura simbolica, la misteriosa coincidenza della particolarità minuta con il significato universale.
Anche la visione sociale e politica esplorata da Korff in questa prima fase dell’età di Goethe evidenzia il passaggio dall’astrazione razionale al vincolo empatico: il contratto sociale si trasforma nella comunione di intenti degli spiriti liberi che non si sottomettono alla legge astratta dello Stato ma seguono la loro spontanea inclinazione alla socievolezza. Il concetto di irrazionale sotto il quale Korff sussume l’orientamento di quest’epoca, e che può apparire una semplificazione eccessiva, in realtà si declina in una molteplicità di direzioni filosofiche e artistiche che includono le poesie giovanili di Herder, la complessa e lunga gestazione del Faust goethiano fino ai Frammenti di fisiognomica di Lavater.
Questo primo volume della monumentale tetralogia di Korff ricostruisce minutamente la tessitura concettuale di cui è permeata la transizione dalla regola alla vita, dallo stato alla communitas, dal nomos alla physis. Il quadro che ne emerge ha i tratti di una narrazione di rara potenza che, fatte le debite differenze, ricorda quella hegeliana della Fenomenologia dello spirito. Anche Korff indaga una legalità immanente e porta alla luce una trama di rapporti e di influenze che la storiografia tradizionale fino ad allora non aveva mai ricostruito con tale perspicuità. Dinanzi a questo disegno di così ampio respiro sorge la curiosità di un raffronto con altre narrazioni della stessa portata diacronica, ad esempio con Mimesis di Auerbach, dove la tessitura muove da presupposti diversi per non dire opposti: non è l’idea che genera la poesia ma è la poesia che, grazie all’idea, dà semmai veste poetica al pensiero. Forse, per citare ancora un’intuizione di Benjamin, «per qualsiasi concezione artistica vale la massima secondo la quale un’analisi che non tocchi i rapporti che si celano nell’opera e che dunque non impara a guardare con maggiore attenzione all’interno di quella stessa opera, perde di vista non solo l’opera – ma anche il suo vero contenuto».
Come è accaduto ad altri lavori di questa importanza, c’è da augurarsi che anche la versione italiana di Der Geist der Goethezeit possa riaprire una discussione sui fondamenti teorici della critica letteraria. Sarebbe auspicabile.
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