Kore’eda, cinema della memoria
Pagine di cinema Le tematiche, i fogli di diario, i personaggi e il metodo di lavoro del regista giapponese: un percorso di letture
Nei più di trent’anni di carriera e specialmente nell’ultimo decennio, dopo cioè la conquista della Palma d’Oro con Un affare di famiglia nel 2018, Hirokazu Kore’eda si è affermato come una delle voci più importanti e seguite nel panorama cinematografico internazionale.
Il suo ultimo lavoro, Monster, il primo tratto da un soggetto non suo, sarà con ogni probabilità presentato a Cannes, dove il regista è oramai diventato un habitué.
Non è una sorpresa quindi che la sua produzione cinematografica, che comprende in realtà anche molti lavori per la televisione e piattaforme streaming, sia oggetto di nuova attenzione, anche da parte del mondo dell’editoria italiana, attraverso l’uscita di due volumi.
Con Il cinema di Koreeda Hirokazu. Memoria, assenza, famiglie (edizioni Cue Press, Imola 2022) Claudia Bertolé rivisita e amplia la sua stessa monografia sul regista uscita circa un decennio fa, anche in risposta all’evoluzione che, in questi ultimi anni, la filmografia del regista ha subito, arricchendosi di esperienze fatte al di fuori del Giappone, come La verità, in Francia, e Le buone stelle – Broker, nella Corea del Sud, ma anche dopo il già citato successo e la conseguente visibilità ottenuta dal riconoscimento ricevuto a Cannes.
Bertolé struttura il suo volume, che è impreziosito da una prefazione di Dario Tomasi, in una prima parte formata da capitoli che affrontano alcune delle tematiche ricorrenti nella produzione del regista giapponese, stile documentario, memoria, famiglia, mondo dell’infanzia, personaggi femminili e richiami al cinema classico giapponese, ed in una seconda, dove vengono analizzati i singoli lavori, compresi quelli seriali.
Come è noto, Kore’eda comincia la sua esperienza dietro alla macchina da presa nel mondo del documentario televisivo, quando venticinquenne entra nella tv Man Union. Le tecniche documentarie qui sviluppate, come viene ben evidenziato dall’autrice, continueranno ad essere impiegate dal regista durante tutta la sua carriera, da After Life a Distance, da Nobody Knows a Un affare di famiglia.
La memoria è uno dei grandi temi che caratterizza gran parte della produzione di Kore’eda, come scrive Bertolé, si tratta di «memoria, intesa sia come identità, come ciò che definisce chi siamo e il nostro percorso nella vita, sia come strumento di confronto con il passato e allo stesso tempo supporto per affrontare il dolore dovuto alla perdita di coloro che amiamo». È questa una tematica che era già presente negli inizi documentaristici del regista, si pensi ad esempio a Without Memory del 1996, ma, come fa notare l’autrice, deriva anche all’esperienza personale di Kore’eda che da bambino ha assistito alla perdita di memoria del nonno, affetto dal morbo di Alzheimer.
L’altro grande tema che innerva la filmografia del giapponese è quello della famiglia, in molti dei suoi lavori assistiamo infatti allo sfaldarsi e al ricomporsi del gruppo familiare, tenendo presente che, come fa notare Bertolè, «Le famiglie di Kore’eda sono spesso nuclei allargati ovvero strutture che possono crollare e ricomporsi in altre forme». In lavori quali I Wish, Father and Son, Little Sister, Un affare di famiglia e Nobody Knows «la famiglia» continua ancora l’autrice «è una questione di scelte, è una comunità che si autodetermina, in un contesto sociale vissuto ai margini e del quale si percepisce il disinteresse, di certo non l’inclusione».
In Pensieri dal set (a cura di Francesco Vitucci, Cue Press, Imola 2022), traduzione di un volume originariamente pubblicato la prima volta in Giappone nel 2016, Kore’eda raccoglie invece, quasi in forma diaristica, le osservazioni e le riflessioni riguardo le varie fasi della sua carriera, dall’esordio nel mondo della televisione al successo internazionale degli ultimi decenni.
È un volume illuminante per varie ragioni, ma soprattutto in quanto offre uno sguardo su tutto ciò che circonda la produzione dei suoi film e su come si sia sviluppata l’avventura della sua carriera cinematografica.
Dalle parole del regista infatti, si evince come il singolo film sia il prodotto finale, o talvolta la traccia, di un processo e di una trama più vasta e complessa che comprende partecipazioni a festival internazionali, i rapporti con le case di produzione, i fattori e le contingenze economiche, il dialogo con gli spettatori e le influenze artistiche inaspettate. Per quel che riguarda questo ultimo punto, alcune delle pagine più belle del volume sono quelle in cui il regista rivela l’importanza della televisione per la sua crescita, fin da quando, ragazzino, ogni settimana rimaneva incollato davanti al piccolo schermo a guardare i vari programmi fra cui specialmente Ultraman e, più tardi i lavori di Shoichiro Sasaki. Kore’eda rimane folgorato dai lavori per la televisione di Sasaki, telefilm o film che ibridavano spesso fiction con elementi del documentario e che usavano attori non professionisti nei ruoli principali. Kore’eda ha tratto evidente ispirazione da Sasaki, un autore praticamente sconosciuto in Occidente, ma la cui produzione è tanto eclettica quanto affascinante, a partire dal capolavoro del 1974 Yume no shima shojo (Dream Island Girl).
Altra figura fondamentale per la carriera di Kore’eda è stato il suo collaboratore e produttore televisivo Yoshihiko Muraki che Kore’eda definisce «il mio padre spirituale» e «la persona che mi ha permesso di trasformare la mia passione per la televisione in un lavoro».
Non mancano poi, nel volume, accenni alla situazione cinematografica e politica del suo paese. «Nelle aree rurali del paese» scrive Kore’eda «non sono rimaste che le multisale, e i cinema di piccole dimensioni che proiettavano film dall’alto valore contenutistico sono pressoché scomparsi». Questa sua preoccupazione per il destino dell’offerta cinematografica del Giappone, va di pari passo con il suo impegno per cambiare l’industria del settore, negli ultimissimi anni martoriata dalla pandemia e da un sistemico emergere di scandali sessuali e di abusi di potere. «La sensazione – continua il cineasta – è che bisogna agire con urgenza se non si intende disperdere la ricchezza e la varietà della cultura cinematografica che abbiamo ereditato dal passato».
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