Kommerell, la lingua si fa gesto, e invade l’inesprimibile
Critici tedeschi Un saggio importante si aggiunge alla raccolta «Il poeta e l’indicibile», dove Max Kommerell legge Kleist come emblematico del dibattersi contro e oltre la parola: da Giometti&Antonello
Critici tedeschi Un saggio importante si aggiunge alla raccolta «Il poeta e l’indicibile», dove Max Kommerell legge Kleist come emblematico del dibattersi contro e oltre la parola: da Giometti&Antonello
Alcuni critici guardano all’opera letteraria come a un costrutto trasparente, del tutto disponibile alla negoziazione concettuale, altri la considerano un oggetto di per sé sottratto alla piena comprensione dell’interprete. I primi sono soliti estrarre dall’opera i dati e i significati utili alle loro analisi, mentre i secondi nascondono le loro ipotesi tra le pieghe del testo e concepiscono i loro saggi come tentativo di proseguirne il senso attraverso la scrittura. È questa la categoria cui appartiene Max Kommerell, poeta, narratore, traduttore e critico letterario, riscoperto negli ultimi trent’anni, non solo in ambito italiano, grazie a Giorgio Agamben e a una raccolta di saggi a sua cura, Il poeta e l’indicibile, pubblicata nel 1991 da Marietti, che ora viene ripresa da Giometti&Antonello (pp. 176, € 22,00) nell’accurata traduzione originale di Gino Giometti, con l’aggiunta di una Riflessione sulla commedia dell’arte dello stesso Kommerell, che arricchisce di un tassello fondamentale la selezione precedente.
L’era dei balletti e del muto
Fin dal titolo, «Kommerell, o del gesto», la densa introduzione a firma di Agamben rende esplicito il collante teorico che tiene insieme i testi selezionati: una riflessione sul gesto, concepito non in quanto semplice mezzo di comunicazione non verbale, bensì come risorsa espressiva che agisce attraverso e allo stesso tempo di traverso il linguaggio, come fenomeno che abita nella parola e tra le parole. Il senso della prossemica non si esaurisce infatti nella locuzione interpersonale, poiché anche i segnali apparentemente irrelati o nascosti hanno un significato, nella loro autonomia. Il gesto, dunque, viene studiato in quanto espressione dell’inesprimibile: l’aver colto quest’aspetto è il principale merito che il curatore attribuisce a Kommerell, il quale viene perciò considerato, al pari di Aby Warburg, uno tra i maggiori interpreti del trionfo della gestualità, cui si assiste nella prima metà del XX secolo: l’epoca dei balletti russi, delle gag e del film muto, non a caso.
Di cruciale importanza, nella prospettiva di Agamben, il saggio in apertura della raccolta, Il linguaggio e l’indicibile (1937), dedicato a Heinrich von Kleist, per Kommerell il paradigma del «poeta che compone in gesti con i mezzi della lingua»: i suoi racconti e le sue tragedie portano traccia di un rapporto problematico con il dire, di un faticoso dibattersi contro la parola e al di là di essa. Ma se i drammi kleistiani «consentono a malapena il monologo» e i racconti, nell’imitare lo stile asciutto della cronaca, espongono la coscienza turbata dei personaggi «come povertà di gesti», ciò non avviene perché lo stile di Kleist sia privo di espressività, bensì perché esso ha a che fare con il lato intimo, e quindi enigmatico, dell’espressione.
Lo stesso vale, a maggior ragione, per gli altri grandi autori trattati nella raccolta, Hölderlin, Goethe, Novalis, Nietzsche e Rilke, che al pari e forse più di Kleist, attraverso la gestualità peculiare alla loro scrittura, restituiscono l’intimità dell’essere umano al suo mistero, la vita alla sua nudità. Sono molte le affinità che Agamben sente di condividere con Kommerell, e dunque non a caso lo considera «certamente il più grande critico tedesco del novecento dopo Benjamin».
Il confronto con Benjamin – che di Kommerell fu avversario inflessibile ma rispettoso, a tal punto da intitolare Contro un capolavoro la stroncatura della sua maggiore opera giovanile – è d’obbligo: in comune avevano il movimento giovanile d’inizio secolo, e il rimprovero di non volere o poter scegliere tra l’esercizio della letteratura come arte e la pratica della letteratura come scienza.
Anche il pregiudizio di alcuni contemporanei nei confronti di questa mancata scelta, che ha spinto l’uno al di fuori, l’altro ai margini dell’accademia tedesca, in qualche modo li accomuna. Entrambi interpretano il saggio come forma centrata sull’umano, e dunque capace di aprirsi alle dinamiche culturali della modernità, prima ancora che sulla lettera del testo. Entrambi, infine, sono non solo critici letterari ma anche autori e traduttori, e dunque intellettuali-scrittori a tutto tondo (Kommerell fu autore anche di raffinatissime liriche, di alcune gustose pièce per teatro di burattini, e di versioni da Michelangelo e da Calderón).
Nonostante ciò che accomuna Benjamin a Kommerell, l’uno gode di una centralità indiscussa nel discorso critico contemporaneo, mentre lo studio dell’altro rimane appannaggio di pochi specialisti. Forse la causa sta nella supposta «cecità al presente» di Kommerell, che a differenza di Benjamin, non si è mai espresso su autori a lui contemporanei? È vero solo parzialmente. Senza dubbio Kommerell deriva la propria specificità dal provenire dalla scuola di Stefan George, del quale, nel corso degli anni Venti, fu allievo prediletto, oltre che assiduo accompagnatore, confidente e segretario, fino a quando, nel 1930, non decise bruscamente di emanciparsene.
L’ipoteca George
Il principale risultato degli anni di apprendistato trascorsi sotto l’ala del poeta renano è la monografia Il poeta come guida nel classicismo tedesco (1828), definita da Benjamin, per l’appunto, un Meisterwerk (non solo un «capolavoro», quindi, ma anche l’«opera di un maestro»): storia della letteratura tedesca colossale da una prospettiva esoterica, con i maggiori poeti dell’età di Goethe calati nel ruolo di guide spirituali – Kommerell utilizza a questo proposito il termine Führer, cinque anni prima dell’ascesa al potere di Hitler – la cui funzione è condurre il mondo tedesco verso una palingenesi culturale.
Tutto ciò non poté non gettare un’ipoteca destinata a gravare a lungo sulla ricezione dell’opera del germanista, anche su quella successiva alla rottura con George, nonostante la sconfessione a posteriori di alcuni scritti. Ed è certo in riferimento a questa fase più matura che Agamben, nel suo saggio introduttivo, mette in rilievo il significato politico della teoria del gesto di Kommerell, la cui attualità risiede infatti nell’incubare questioni verso cui, oggi più che mai, è opportuno dimostrarsi consapevoli.
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