Visioni

«Knight of Cups», infinite esistenze racchiuse in un gesto

«Knight of Cups»,  infinite esistenze racchiuse in un gesto

Cinema Il lavoro di Malick presentato alla Berlinale nel 2015. Storia di una «movie star» nel paesaggio d’America

Pubblicato quasi 8 anni faEdizione del 10 novembre 2016

All’ultima Mostra di Venezia ha presentato Voyage of Time: Life’s Journey, i fan sono rimasti delusi eppure in quel viaggio nella storia dell’umanità Malick non si allontana dal sentimento del suo cinema, almeno nei film degli ultimi decenni. Piuttosto è come se svuotandolo del tutto di una «storia», che non sia quella della Terra e delle sue ere, ne abbia voluto mostrare l’essenza, ció che ne anima il movimento e la tensione.

Knight of Cups fa un passo indietro – è precedente, lo avevamo visto alla Berlinale del 2015 – e torna all’umano, col cavaliere di coppe, carta dei tarocchi, di un destino sospeso e fluido, come l’acqua del mare che scivola. La storia è sempre la stessa, un uomo e una donna, una storia d’amore, di guerra, di tradimenti, di conquista, di seduzione. Il cuore di tutte le storie.

E il paesaggio d’America, col suo immaginario, Los Angeles, gli studios hollywodiani fino a Las Vegas, mitologia di celluloide patinata e disperata. A differenza del precedente, To the Wonder, qui il punto di vista è tutto maschile, quello di Christian Bale, una «movie star» che vaga tra le sue infinite esistenze, i personaggi che interpreta, la sua facciata pubblica, i dolori privati.

La voce off racconta una fiaba, il principe che parte per cercare una perla preziosa, e si perde, come Bale in una babilonia di feste, alcol, maschere e risate, la terra trema per il terremoto e l’uomo si risveglia solo. Chi è quella ragazzina con gli occhi troppo grandi, che sull’automobile scoperta gioca col vento? Le donne si susseguono, Cate Blanchett, Natalie Portman, e poi la spirale di feste, di voci, di risate, di musica, di piscine.

Tutto patinato come le pubblicità, Banderas sorride e sembra uscito dal Mulino bianco, la giovane donna è bellissima e il vento agita il vestito agli ordini del fotografo.
Malick, sempre invisibile, possiamo chiamarlo pazzo, genio, visionario, impostore, eppure i suoi film segnano sempre una distanza rispetto a tutto il resto, potenti nel linguaggio visuale che gli permette di essere tutto e il loro contrario. Non è questione di «storia», la vertigine è altrove perché le storie che sono infinite e sempre le stesse sono anche racchiuse in un gesto, pura performance del corpo.

Dalle piscine si finisce negli slum, poveri e spiagge popolari, african american distrutti in quel corpo narrante, e la luce (o il buio) del prete e dei veggenti, dei santoni e del new age. L’America come è o come sarà? Il cinema, che è quel paesaggio che Malick attraversa e se lo lascia alle spalle, la società dello spettacolo e le infinite variazioni delle immagini che si susseguono fino allo stordimento.
Però Knight of Cups non è The Canyon di Schrader e neppure la Mappa delle stelle croneberghiana anche se respira quella stessa tensione, quello stesso modo di interrogarsi sulla macchina dello spettacolo, e sulla sostanza del visibile, in modo totale, dentro al sistema di cui fanno parte, Hollywood e i suoi riti, la geografia dell’immaginario e le sue declinazioni.

Attraverso diversicapitoli, L’uomo, la Luna ecc, Bale attraversa i frammenti di una realtà in un «Addio al linguaggio» (ed è vicino a Godard questo Malick) inafferrabile, e al tempo stesso fin troppo evidente, dove si consuma la narrazione di quelle infinite storie possibili offerte alla scelta del loro demiurgo. Slabbrate e tesissime, come la vita e come un destino che le carte non bastano a rivelare, dopo però non può esserci più altro.

Uomo donna, padre figlio, figlio/figlio fuori e dentro il bordo dell’inquadratura i «ruoli» di Bale si scambiano, o forse rimangono gli stessi, cosi come le sue partner che corrono leggere in riva all’Oceano, nel flusso delle onde, continuo come le immagini che non riescono a fermarle. Rimane soltanto la loro possibile verità e la favola della loro intenzione: c’era una volta.

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