Klimalab, ha caldo anche Oslo
Eventi Fino alla fine di gennaio, al Nobel Peace Center della capitale norvegese, una mostra interattiva coinvolge il visitatore per cercare di spingerlo ad essere un protagonista nella sfida all’emergenza climatica
Eventi Fino alla fine di gennaio, al Nobel Peace Center della capitale norvegese, una mostra interattiva coinvolge il visitatore per cercare di spingerlo ad essere un protagonista nella sfida all’emergenza climatica
Resterà aperta fino a gennaio 2020 presso il Nobel Peace Center di Oslo, KlimaLab, una mostra interattiva per sensibilizzare il pubblico sui cambiamenti climatici che rischiano di stravolgere la vita sul nostro pianeta. L’esibizione è stata allestita con il contributo di Hyundai Norway e di Fritt Ord, fondazione nata nel 1974 per volontà della Narvesens Kioskkompani, una compagnia norvegese che gestisce 880 negozi di vendita al dettaglio in Norvegia, Lituania e Lettonia. La Fritt Ord, impegnata nel campo della libertà di espressione, è stata una delle prime organizzazioni a scendere in campo in appoggio a Greta Thunberg e proprio sull’onda del movimento innescato dalla protesta della ragazza svedese e dei Fridays for Future è stata organizzata KlimaLab.
COME SI INTUISCE DAL TITOLO, l’esposizione intende coinvolgere il pubblico a prendere coscienza del ruolo che ciascuno di noi è chiamato a ricoprire nel cercare di mitigare le cause che portano all’aumento della temperatura attorno al globo. Proprio in questa responsabilizzazione del singolo sta la caratteristica principale di KlimaLab: «Il cambiamento climatico è una delle maggiori sfide del nostro tempo. In molti posti al mondo vediamo come il disastro ambientale e il cambiamento climatico portano alla sofferenza umana e contribuiscono al rafforzamento di differenze, disordini e conflitti. Con la mostra KlimaLab speriamo di coinvolgere il pubblico nella causa climatica e dargli la convinzione di poter contribuire alla soluzione» afferma Liv Tørres, dal 2016 direttrice del Nobel Peace Center che, dal 1 gennaio 2020 dirigerà il Pathfinders for Peaceful, Just and Inclusive Societies al Centre of International Cooperation della New York University.
IN UN ITINERARIO INTERATTIVO il visitatore viene accolto dal Climate Change Mural un dipinto lungo 16 metri opera della grafica e illustratrice norvegese Renate Thor. L’artista ha voluto ricreare con la sua opera la complessità dell’ecosistema e dell’argomento ambientale ad esso collegato: «Vedo la questione climatica come un enorme puzzle, dove ogni singolo tassello occupa una posizione ben precisa affinché la crisi climatica possa essere risolta», spiega Renate Thor; «Ognuno di noi ricopre un ruolo importante nel mettere ogni pezzo al suo posto».
Questo ruolo centrale viene messo in pratica nella sezione KlimaBoss, dove una installazione a parete riporta dei cartoncini su cui sono riportate una serie di azioni che possiamo intraprendere per mitigare il cambiamento del clima: mangiare meno carne, evitare di prendere aerei se possibile, effettuare spese più compatibili all’ambiente, risparmiare energia. A seconda delle proprie inclinazioni il visitatore è invitato a prendere un cartoncino su cui è descritto l’obiettivo da raggiungere, come arrivare a completare il proposito e quali benefici all’ambiente potrà apportare. Ispirata dai premi Nobel per la pace impegnati nella lotta ai cambiamenti climatici (Wangari Maathai, UN Intergovernmental Panel on Climate Change, Al Gore), KlimaBoss preme sul fatto che per invertire la tendenza dell’aumento della temperatura tutti dobbiamo cambiare stile di vita.
INFINE THE BIRD’S NEST (il nido dell’uccello) copre un terzo della mostra, una superficie scelta non a caso perché corrisponde alla percentuale di superficie coperta dalla vegetazione sul nostro pianeta. The Bird’s Nest è composto da rami, tralci, fronde, tronchi raccolti nel quartiere di Bislett, a Oslo e i suoi autori, Jan Hakon Erichsen e Rober Johansson, si sono ispirati ai nidi costruiti dall’uccello giardiniere, originario dell’Australia e della Papua Nuova Guinea, che, per attirare le femmine, decora i propri ripari con oggetti di colore blu. Ciò che però viene fatto notare a chi entra nel nido è la patina scura di cui sono ricoperti i rami. E’ il risultato dello smog cittadino che, anche in una metropoli relativamente pulita e sana come Oslo, sta diventando un problema.
IN QUEST’ANNO 2019 CHE HA VISTO l’emergere di nuovi protagonisti e movimenti per la salvaguardia dell’ambiente, la mostra KlimaLab non poteva terminare se non con una serie di manifesti, cartelloni, banner utilizzati durante le manifestazioni dei Fridays for Future. Migliaia di giovani e non più giovani sono scesi in piazza a Oslo per sensibilizzare la classe politica verso un problema che, seppur in misura minore rispetto ad altre nazioni, coinvolge anche la Norvegia. Il Paese scandinavo, nonostante abbia la più alta percentuale di auto elettriche per abitante al mondo ed è protetto da politiche ecologiche più rigide di altre nazioni, è chiamato ad affrontare nuove sfide ambientali.
Proprio la crescita della mobilità elettrica privata ha causato un aumento del traffico cittadino costringendo le municipalità a sacrificare spazio (per lo più verde) a favore di parcheggi e al tempo stesso registrando una diminuzione dell’utenza dei servizi di trasporto pubblici. La popolarità delle mete nordeuropee ha portato nel 2018 dieci milioni di turisti in Norvegia, ma il 30% di essi lo fa imbarcandosi su navi da crociera con consumi e inquinamento sempre più pesanti per l’ecosistema. L’espansione urbana (ancora sotto controllo), la costruzione di strade, ferrovie, impianti sciistici e, soprattutto, l’aumento delle aree destinate all’agricoltura, hanno accelerato il disboscamento forestale, solo in parte attenuato da nuove piantumazioni, spesso fatte con alberi modificati geneticamente per accelerarne la crescita e l’assorbimento di CO2.
«VOI NON SAPETE COME RIMEDIARE al buco dell’ozono; non sapete come riportare un salmone lungo la corrente di un fiume prosciugato; non sapete come riportare in vita un animale estinto. Voi non sapete come far rinascere una foresta dove ora c’è il deserto. Se non sapete come rimediare ai disastri da voi stessi causati, smettete di causarli» Sono le parole che il dodicenne Severn Cullis-Suzuki proferì nel 1992 all’Onu. Ventisette anni dopo non abbiamo ancora la soluzione.
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