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Klaus Dodds, luoghi reali e immaginari di maledizione identitaria

Klaus Dodds, luoghi reali e immaginari di maledizione identitariaMona Hatoum, «Orbital», 2018

Aggiornamenti di geopolitica Tra nuove pulsioni securitarie e volontà di sorveglianza, lo storico britannico indaga il ritorno alla centralità strategica delle frontiere: «Guerre di confine», un saggio Einaudi

Pubblicato 3 mesi faEdizione del 28 luglio 2024

Se fino a non molto tempo fa la guerra sembrava, almeno in Europa, fuoriuscita dal discorso pubblico e relegata in un ambito discorsivo frequentato da specialisti, ma collettivamente marginale, oggi invece, immersi nella temperie bellica dell’Ucraina e di Gaza, siamo ripiombati in un clima che attacca anche le nostre prospettive di vita, le attese e le speranze di tutti.

Insieme alla centralità della guerra, viene a galla una nuova attenzione al tema dei confini tra gli stati. C’è stato un momento, con la caduta del Muro di Berlino, in una gelida notte del novembre 1989, in cui le frontiere sembravano ormai vestigia del passato. L’abbattimento di quel muro, lungo 159 chilometri e costruito ventotto anni prima, nel cuore della guerra fredda, si accompagnò allora alla distruzione delle «recinzioni rosse» e alla apertura di frontiere e barriere.

Si respirava un nuovo ottimismo, basato sull’idea che la mobilità e il commercio globale ci avrebbero, col tempo ma ineluttabilmente, affrancati dagli steccati della geopolitica. E negli anni successivi il trionfo di internet e di forme di comunicazione istantanea e senza confini determinarono un ampliamento mai visto di scambi commerciali virtuali e di trasmissione immediata e globale di dati.

Una questione decisiva
A questo passaggio ottimistico è seguita l’epoca inaugurata dall’attentato alle Torri gemelle di New York del 2001 e dalla Global War on Terror, che ha prodotto un ripensamento complessivo della politica sulle frontiere aperte, avvertite come una minaccia per la sicurezza collettiva: tra volontà di sorveglianza e pulsioni securitarie, quel nuovo spirito difensivo ha reso la questione dei confini inquietante e molto più decisiva.

Di tutto questo tratta il volume di Klaus Dodds, Guerre di confine I conflitti che determineranno il nostro futuro (traduzione di Alessandro Manna, Einaudi, pp. XLII- 342,€ 32,00), che era uscito in contemporanea con l’invasione russa dell’Ucraina, ma venne scritto prima di essa (l’edizione italiana ospita un capitolo in più e una postfazione, che integra i nuovi avvenimenti). Il clima di enorme instabilità creato da questa guerra (e rafforzato poi dal conflitto in corso a Gaza) ha reso la tesi di Dodds sulla nuova centralità del tema relativo ai confini particolarmente attrattiva.

La premessa, del tutto condivisibile, è che l’incertezza indotta dal mutamento climatico, dalla pandemia di Covid 19 e dalle guerre in corso hanno reso i confini non più rassicuranti punti di riferimento ma terreno mobile, in trasformazione, microcosmi di una geopolitica mutante e punti di strozzatura dei flussi migratori (il confine tra Messico e Stati Uniti, per esempio, è lungo ben 2000 miglia).
Scrive Dodds: «Autocrati e leader populisti di tutto il mondo sono saliti sul carro dei confini e hanno usato e abusato di questo interesse per promuovere le loro rivendicazioni su territori più estesi o richiedere funesti controlli su determinate categorie di persone e cose che cercano di entrare».

Dodds spazia dal confine tra Guinea equatoriale e Camerun a una Cipro divisa in due, dalle frontiere sull’Himalaya fra India, Cina e Pakistan al caso delle isole Falkland, dal confine tra Costarica e Nicaragua, lungo il fiume San Juan, al conflitto tra il Marocco e gli abitanti del Sahara occidentale.

Tra il noi e il loro
In tutti questi casi, e in altri ancora, i confini non si limitano a tracciare linee su una carta geografica, ma toccano l’identità collettiva e il senso del rapporto tra il noi e il loro misurandolo sulla capacità della natura di trasformare i confini e sulle restrizioni della mobilità transfrontaliera e delle migrazioni spinte dal mutamento climatico. Va maturando così una divaricazione crescente, espressa emblematicamente nel 2019 dallo scontro tra Macron e Bolsonaro sul bacino amazzonico: non più territorio di sovranità esclusiva del Brasile ma risorsa preziosa della comunità globale.

Inoltre, analizzando gli spazi marini (dove sono in gioco il diritto di passaggio e la pesca), quelli oceanici da sempre oggetto di scontri e compromessi tra paesi costieri e paesi terzi, i fondali sottomarini (con la sicurezza dei cavi di comunicazione e l’estrazione di risorse minerarie), Dodds si spinge anche verso lo spazio aereo che circonda il nostro globo, e verso la geopolitica legata ai fiumi e al ruolo delle dighe, alle falde acquifere come confini nascosti, e infine a tutte quelle terre di nessuno che sono aree cruciali dell’avventurismo militare, dello sciacallaggio per le risorse, degli intrighi politici. Nessuna pretesa, da parte di Dodds, di offrire una spiegazione strutturata di questi conflitti, su basi storiche, bensì una carrellata di immagini commentate, e di problemi irrisolti, che il susseguirsi di avvenimenti bellici recenti ha reso cruciali.

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