Tre anni di carcere, anche se con la condizionale, il divieto di dirigere un’istituzione culturale, una multa di oltre diecimila euro: è la sentenza pronunciata ieri a Mosca contro l’artista russo Kirill Serebrennikov, ultimo capitolo di una lunga storia iniziata con l’accusa di frode ai danni del ministero della cultura russo di cui Serebrennikov sarebbe stato artefice insieme a due suoi collaboratori, Iouri Itine e Konstantin Malobrodski – condannati anche loro a tre e a due anni – appropriandosi di un finanziamento pubblico di circa 129 milioni di rubli (circa 1,65 milioni di euro). «No comment» è stata la secca replica di Serebrennikov uscendo dall’aula dopo il verdetto, mentre fuori dal tribunale centinaia di persone manifestavano in suo sostegno e contro quello che appare come uno degli ennesimi processi farsa del governo russo il cui bersaglio è una voce critica, di artista e di intellettuale, capace di risuonare forte anche nel resto del mondo, che nella sua opera non ha avuto mai paura di attaccare il potere di Putin, la sua arroganza, il controllo affidato alla chiesa ortodossa sulla vita sociale, le persecuzioni contro le comunità Lgbtq.

E di rivendicare il diritto alla libertà di parola e di espressione per gli artisti – indigeste a tutti i regimi. Come tollerare qualcuno che pubblicamente si schiera contro la censura – e l’arresto delle Pussy Riot- il crescente autoritarismo, il coinvolgimento della Russia nella guerra russo-georgiana? Del resto: non accadeva lo stesso ai magnifici protagonisti del suo film, Summer (Leto, 2018)? I ragazzi che inventavano la scena musicale underground a Leningrado negli anni Ottanta, dove si incontrano Mike Naumenko, fondatore degli Zoopark, e Viktor Tsoi, compositore e co-fondatore dei Kino, mescolando poesie, desideri, punk e Bowie venivano silenziati, la loro musica che era un gesto politico, appariva al potere anche allora «inaccettabile».

L’ARTISTA era stato arrestato a San Pietroburgo proprio mentre era sul set di quel film, nell’estate del 2017, messo ai domiciliari e costretto a rientrare a Mosca – nel frattempo aveva continuato a lavorare al montaggio di Summer che era stato presentato in concorso al festival di Cannes. La notizia del suo arresto aveva subito dato vita a un movimento di protesta, artisti russi e in tutto il mondo avevano lanciato petizioni per la sua liberazione attaccando duramente la repressione di cui era oggetto – il danzatore Mikhail Baryshnikov aveva dichiarato: «Serebrennikov è un artista di cui la Russia dovrebbe essere orgogliosa e invece lo degrada e lo umilia».

L’origine dell’accusa era stato il progetto artistico realizzato col teatro Gogol, di cui Serebrennikov è direttore, Platform, che doveva promuovere in Russia la danza moderna, la musica, il teatro, e che secondo gli accusatori non è mai stato realizzato come previsto. Non solo, tra i capi d’imputazione c’è anche quello che uno degli spettacoli non aveva mai avuto luogo mentre numerose testimonianze del pubblico hanno detto il contrario – sui social era stata lanciata la campagna #IwasatPlatform con centinaia di messaggi. Inoltre se anche ci fosse state delle irregolarità «le autorità russe avevano altri modi per risolverle» , ha fatto notare nel suo comunicato di ieri l’Efa – l’ European Film Academy che ha chiesto in un appello, a cui hanno aderito numerosi festival e istituzioni europee, l’immediato ritiro di ogni accusa nei confronti del regista.

IL PUNTO è che le questioni finanziarie qui non c’entrano, o almeno sono molto pretestuose. Questa di Serebrennikov è una vicenda tutta politica, un attacco contro una figura fastidiosa, «l’enfant terrible» della scena russa lo hanno chiamato da quando ha cominciato a attraversare l’orizzonte della scena artistica con le sue pièces che parlavano di sessualità, politica, religione in un Paese la cui dirigenza politica ha scelto un ritorno al conservatorismo più retrogado in nome dei «valori tradizionali».

Ma torniamo ai fatti. Nel settembre del 2019 Serebrennikov e i suoi collaboratori vengono rimessi in libertà su cauzione, il dossier è rinviato all’accusa perché considerato incompleto. Pochi giorni fa dal Mercato del cinema di Cannes – quest’anno in una edizione virtuale a causa della pandemia – era arrivata la notizia che Serebrennikov stava iniziando a lavorare a una serie sulla figura del grande regista russo Andrej Tarkovskij. Tutto «archiviato» dunque? No, perché una nuova inchiesta ha stabilito invece che era colpevole. Lo scorso 22 giugno, in chiusura del dibattimento, il tribunale aveva chiesto sei anni di carcere.

IL REGISTA aveva dichiarato che non c’era alcuna prova di azioni disoneste da lui commesse, e che gli inquirenti avevano fatto pressione sul principale testimone dell’accusa, il vecchio contabile della sua compagnia. Lo stesso giorno oltre tremila personalità del mondo della cultura hanno chiesto con una petizione al ministero di rinunciare al processo. Ma l’esibizione di forza del governo russo non poteva, ovviamente, che andare avanti.