«Il titolo del disco non è altro che il prefisso telefonico usato in buona parte dello stato del Mississippi. Ho scritto le canzoni in casa, a Clarksdale e ti assicuro, che rappresentano un nuovo e importante capitolo della mia carriera. Puoi sentirlo chiaramente che si tratta di un album personale: parla della mia vita, del passato, del presente e delle cose che arriveranno».

Una dichiarazione d’intenti netta e senza fronzoli, capace di far comprendere la determinazione di Christone «Kingfish» Ingram, che con questo secondo lavoro da studio, compie un passaggio di livello notevole, anche in veste autorale, che va ad aggiungersi a quanto di bello già compiuto fino ad ora. Il musicista afroamericano, classe 1999, è stato definito come il golden boy del blues ben prima della maggiore età, complice il pronunciamento entusiasta in tal senso dell’icona Buddy Guy. A seguito di quell’evento, Ingram venne da subito cooptato nel giro che conta dal batterista e produttore Tom Hambridge, che proprio per Guy ricopriva le stesse posizioni, grazie alle sue indiscutibili qualità artistiche: dotato di una voce di quelle che si ascoltano raramente ed una maestria sulla sei corde da far invidia a colleghi molto più in là con gli anni, Kingfish emerge da bambino nella natia Clarksdale.

L’APPROCCIO alla musica avviene nel solco della tradizione: esordisce alla batteria poco più che bambino, frequenta i cori nelle chiese della comunità con i familiari, passa alla chitarra attorno agli undici anni e viene influenzato da rodati bluesmen locali: «Vivevo nei pressi del quartiere di Oakhurst, vicino a Pecan Street. È stato da quelle parti che mi sono imbattuto in gente come Josh “Razorblade” Stewart, Dr. Mike ed altri. È con loro che ho iniziato a conoscere il blues, assistendo alle esibizioni che davano durante i juke joint parties».

Ingram divide l’adolescenza tra le frequentazioni del Delta Blues Museum dove ascolta gli insegnamenti sonori di Bill “Howl-N-Madd” Perry e i passaggi da Red, il titolare dell’omonimo spazio dove concerti e jam session sono una costante: «I juke joint sono dei posti dove puoi trovare le vibrazioni autentiche della nostra musica. E il Red’s, dove ho suonato anche io, è uno di questi luoghi. Dove la gente si incontra per bere, mangiare, divertirsi e ascoltare davvero dell’ottimo blues». E nel suo caso prendere sicurezza dei propri mezzi per proseguire lungo un percorso che nel 2014 lo portò ad esibirsi alla Casa Bianca per Michelle Obama: «Viaggiare da una piccola città della Coahoma County fino a Washington D.C., rispondendo ad una chiamata della first lady che ti chede appositamente di suonare per lei, è stata una delle emozioni più intense della mia vita».

A SEGNARE la differenza è stata nel 2018 la doppia apparizione all’interno della seconda stagione della serie Netflix dedicata a Luke Cage, in cui il cantante e chitarrista esibendosi in delle lancinanti versioni di I Put On Spell On You e The Thrill Is Gone, riuscì a garantirsi una rilevante esposizione mediatica, ottimamente messa a frutto l’anno seguente in occasione del disco d’esordio, quel sorprendente Kingfish con il quale ottenne immediatamente la nomination ai Grammy come Best Traditional Blues Album, oltre a fare incetta di consensi da parte di critica e pubblico anche fuori i confini statunitensi. 662 si contraddistingue per una maturità sorprendente, sia dal punto di vista testuale che musicale, a cui si aggiunge la palese sensazione di essere davanti ad un disco che ha un’idea narrativa di fondo molto chiara. Il brano di apertura che dona il titolo al tutto, vede Kingfish raccontare sé stesso e la sua terra come un navigato griot mentre il groove si fa avvolgente.

Nel muscolare rock-blues di My Bad da lui definito «mistico» vengono ampiamente giustificate le copertine attribuitegli da DownBeat e Guitar World, mentre in Thats All It Takes dimostra di essere totalmente a suo agio con il soul vecchio stile scrivendo una ballata invero romantica: «Con Tom abbiamo messo insieme tanti ingredienti della vecchia scuola, fiati compresi, per raccontare una storia personale molto intensa». E mentre incisioni di stampo classico come lo slow Your Time Is Gonna Come, il tempo medio di I Got To See You e il Texas Blues di Long Distance Woman sottolineano come egli conosca alla perfezione i linguaggi di ieri e di oggi del blues, ancor più sorprendente è come sappia infondere altri caratteri musicali.

L’esperienza come chitarrista con il rapper Rakim si fa sentire prepotentemente nell’incedere hip hop di Another Life Goes By, dove emerge anche un senso di appartenenza alle questioni african american attuali: «Sappiamo tutti che nella tradizione blues cantare versi come My Baby Left Me significava altro, ma nessuno pensa che anche oggi questa musica possa essere di protesta. E invece, basta rendersi conto che ognuno di noi nell’attualità ha davanti a sé quanto fatto dal movimento Black Lives Matter, le proteste contro l’assassinio di George Floyd e in generale, la brutalità della polizia. Tutto questo è oggi il nostro blues e di conseguenza è dentro la musica della nostra generazione. D’altronde, possiamo considerare l’hip hop come il pronipote del blues».

E MENTRE Kingfish riesce al contempo ad essere numero uno nella classifica Billboard del blues e a piazzare Letter From Bluewater Man, un singolo acustico di rara bellezza nel gotha del mondo dei games, come testimonia l’ultima e recente versione di Red Dead Online: Blood Money, 662 si conclude con una toccante e delicata melodia dedicata alla madre, scomparsa nel dicembre 2019: «È l’unico brano che non ha visto a Nashville, ma ai Royal Studios di Memphis. Lei era la mia luce, il mio riferimento imprescindibile. Anche io, come accade dalle nostre parti durante i funerali, ho eseguito Amazing Grace durante la cerimonia, ma volevo fare anche altro. Ed ho scritto la canzone Rock & Roll che parla del nostro rapporto e di quanto sia stata importante per me».