Affermare che la vita di Raffaele Minichiello sia stata avventurosa potrebbe apparire riduttivo. Per il semplice motivo che quella vita, per quanto possa sembrare inverosimile, si è svolta attraverso innumerevoli esperienze, sempre al limite tra la regola e l’eccezione. Una traiettoria sottoposta all’imprevedibilità degli eventi.

GUERRE, traumi, casi internazionali, successi travolgenti, titoli di giornali e copertine che anticipano la cialtroneria dei Social, storie d’amore, lutti, rivelazioni, amicizie e lavori più che sospetti. Insomma, molto più di una storia scritta con l’inchiostro, anche se il vorticoso alternarsi di ombre e luci ha finito col predisporre quest’insolita esistenza al racconto e alla ricostruzione cinematografica.
Così, prima Pier Luigi Vercesi con la pubblicazione de Il Marine. Storia di Raffaele Minichiello, e poi Alex Infascelli con Kill Me If You Can, documentario presentato alla Festa del Cinema di Roma e da qualche giorno distribuito in alcune sale, hanno rielaborato il percorso tortuoso di un uomo originario dell’Irpinia, emigrato negli Stati Uniti nel 1962 a seguito di un terremoto, marine in Vietnam, reduce disilluso e poi…

E POI inizia la vicenda che trasforma una persona in personaggio. Il 31 ottobre 1969, un giorno prima di compiere vent’anni, l’ex soldato decide di dirottare un aereo di linea che da Los Angeles doveva atterrare a San Francisco. Il velivolo arriverà invece a Roma. Minichiello, arrestato, ma in salvo come i pochi ostaggi rimasti (gli altri erano stati liberati prima di lasciare gli Stati Uniti), sorprendentemente ha l’opportunità di una seconda vita. Non l’ultima, peraltro. Sette anni e mezzo di carcere che in appello diventano tre anni e mezzo, e poi con un condono si trasformano in diciotto mesi. Il seguito lo lasciamo alla visione del film.

 

Materiali di repertorio e interviste rendono questo documentario un piacevole prodotto di intrattenimento che riporta l’immaginazione a un passato non così remoto eppure percepito come lontano. Il sorriso strappato per certe ingenuità dovrebbe, però, interrompersi quando a emergere è un mondo dove prevalgono le tenebre. Ed è su questo scarto mancato che Infascelli mostra un’eccessiva fascinazione per il suo protagonista. Quando di Minichiello scopre un lato oscuro legato a possibili attività di controllo dei movimenti degli anni Settanta. Un elemento narrativo che, sfumato, lascia in sospeso il film tra la commedia d’epoca e una tragedia dai tratti irriducibili a qualsiasi aneddoto.