Cultura

Kilim, una pratica antiviolenza

Kilim, una pratica antiviolenzaReyhaneh Alikhani «Trame»

Traiettorie persiane L’iraniana Reyhaneh Alikhani racconta il suo lavoro e il suo paese nella collettiva a Bologna «Voci dall’abisso»

Pubblicato quasi 2 anni faEdizione del 3 febbraio 2023

Fili intrecciati su alcune seghe usate come telai, arnesi e attrezzi da lavoro che si trasformano in oggetti inoffensivi, lame rivestite di lana che perdono tutto il loro potenziale di violenza. I motivi ricamati riproducono l’albero della vita e il melograno, simboli di vita, femminilità e fertilità. L’artista che ha realizzato l’opera Trame è Reyhaneh Alikhani, iraniana, arrivata a Bologna appena trentenne nel 2015, laureata in graphic design all’università di Tonekabon, piccola città del nord, e illustratrice di un libro per bambini, ragione che l’ha spinta a scegliere proprio la città della Fiera del libro per Ragazzi per continuare i suoi studi. Terminato il corso di Decorazione arte e ambiente, a breve concluderà il master di Decorazione per architettura all’Accademia di belle arti con una tesi sulla storia e la simbologia dei tappeti persiani e mediorientali.

ALIKHANI insieme a Pegah Pasyar, Golzar Sanganian, Khorsid Pouyan è una delle protagoniste della collettiva Voci dall’Abisso. Quattro artiste iraniane a Bologna (fino al 5 febbraio) a Palazzo Fava, Palazzo delle esposizioni di Genus Bononiae, curata da Marco Baldassari. Alikhani ritrova la tecnica del kilim, usando lane naturali che porta dal suo paese, una tradizione persiana che ha sperimentato per attingere alle sue origini e mantenere vive le sue radici. «Ho iniziato a utilizzare il materiale tessile dopo un anno che ero in Italia – racconta –. In Iran disegnavo e dipingevo, ma sentivo la mancanza di qualcosa e i kilim nella mia vita e nella mia casa ci sono sempre stati, come in tutte le abitazioni iraniane. Il nord del paese, dove sono nata e ho vissuto, è fra le zone più verdi e volevo unire le due passioni: per la natura e i kilim. L’accostamento di strumenti taglienti con il tessuto morbido crea un contrasto che mi piace».
«Nel primo lavoro, quello in cui ho disattivato la violenza, ho agito inconsapevolmente. Non era mia intenzione, ma poi ho preso coscienza», aggiunge. La distanza e la nostalgia hanno invitato Alikhani a recuperare quelle tecniche antiche mai praticate prima. Tanto che con il telaio e il kilim, dentro una cornice di legno, affronta anche il tema delicato della verginità, molto sentito in Iran e importante per diverse culture.

Khorshid Poyan “In_quiete”

SI TRATTA DI DUE TELE una accanto all’altra, una rossa con l’albero della vita, e una bianca, entrambe con un taglio, uno squarcio verticale nel mezzo che rimanda al lavoro di Lucio Fontana. «Nel mio paese è un tema sensibile, lo è stato per la mia e per le generazioni precedenti. Fortunatamente adesso per i giovani le cose sono cambiate molto, ma la verginità ha ancora un forte valore per le donne. A Bologna ho abitato in uno studentato con sei ragazze che parlavano con disinvoltura di questo tema perciò ho riflettuto sull’effetto che ha se vivi in una parte del mondo in cui essere vergine è importante tanto da definire il tuo valore. È un pensiero di cui non ci si libera mai». «Dietro al mio lavoro c’è sempre qualcosa che mi riguarda. Ho vissuto benissimo in Iran, non mi sono mai trovata in situazioni critiche, sono nata in una famiglia tranquilla, non tradizionale, ma nelle mie opere si vede che la cultura tradizionale ha avuto effetti su di me», continua Alikhani. In Segni di Resistenza punteruoli, asce, coltelli, falci e altri strumenti contadini e di uso comune sono ricoperti di feltro, «un vestito sopra oggetti taglienti in cui la ruggine sul feltro fa emergere il loro vissuto, fa parlare gli oggetti», spiega.

Da Postcards from Iran

SULLA REPRESSIONE e le proteste che stanno agitando il paese dice che le dispiace, «per quello che sta succedendo, vorrei che tutte le donne, tutte le persone, potessero vivere con tranquillità e in libertà. Mi sento al sicuro, non avverto un pericolo per via della mostra che è un’espressione d’arte e cultura. Ho deciso di vivere in Italia già da tempo. Il vostro paese ha influenzato la mia pratica artistica: il primo anno in accademia sentivo che stavo diventando un’artista italiana, volevo trovare un modo per rimanere attaccata alle mie origini, le ho rispolverate e me ne sono riappropriata».
Sul valore che rappresenta questa esposizione Khorsid Pouyan aggiunge «è una sfida ad esprimersi liberamente senza vincoli né limiti, è la dimostrazione della nostra forza e del desiderio di vita, l’arte non può essere repressa. Ci sono dei rischi, ma non mi sento fragile. L’Iran è molto di più della situazione politica attuale. Proprio alla luce di ciò che sta accadendo, mostrare la figura di una donna nuda (come i suoi lavori di grandi dimensioni su feltro, della serie in_quiete, ndr) che rivendica il suo posto è una ricerca di libertà. Alcune opere sono frutto degli ultimi mesi in risposta agli eventi in Iran, altri sono precedenti. La censura è un tema presente e le artiste che operano nel nostro paese si devono adeguare per aggirarla».

FRA GLI APPUNTAMENTI bolognesi, nei giorni di Artefiera, c’è anche Postcards from Iran, l’installazione allestita nel Corridoio Ala Collamarini dell’Accademia di belle arti dal collettivo di studentesse e artiste iraniane Bumblebees realizzata con la Consulta studentesca insieme al docente, fumettista e attivista Gianluca Costantini, da anni impegnato per la difesa dei diritti umani. Oltre ottocento cartoline spedite da iraniani e iraniane in patria o all’estero, illustrazioni, vignette, foto, disegni, caricature, slogan, inviate spesso in anonimato per non rischiare ritorsioni per sé e le proprie famiglie.
Un’azione a sostegno della coraggiosa lotta e protesta del popolo iraniano contro l’oppressione del regime. L’opera collettiva sarà in mostra fino al 28 febbraio. Sabato, dalle 19, nell’Aula Magna dell’Accademia sarà la volta della performance In the Name of Them in ricordo di tutti i giovani morti.

SCHEDA

Al via Arte Fiera numero 46. Fra pittura, fotografia e performance e molte novità

Public Movement

Arte Fiera torna da oggi e prosegue al 5 febbraio a Bologna: è la 46/a edizione e la quarta sotto la direzione artistica di Simone Menegoi. All’ingresso di piazza Costituzione, un megaschermo di 5×9 metri ospiterà la prima «Led Wall Commission»: si tratta di video d’artista concepiti specificamente per il formato billboard e per la visione di chi sta attraversando la soglia del quartiere. Protagonista quest’anno sarà Yuri Ancarani (anche in mostra con la sua personale al Mambo). Sono circa 141 gli espositori della Main Section (che spazia dal moderno e dalle opere post-belliche, punto di forza da sempre della kermesse, fino al contemporaneo di ricerca, con un focus sull’arte italiana) e di quelle curate che parteciperanno ad Arte Fiera 2023. «Percorso» è invece un itinerario che collega alcuni stand in un criterio tematico. Lo sguardo è puntato sulla ceramica (fra cui l’eccellenza Mutina). Pittura XXI è una panoramica italiana e internazionale, che spazia dai talenti emergenti agli artisti mid-career. La curatela della sezione è di Davide Ferri.
«Fotografia e immagini in movimento» è un punto di riferimento per collezionisti e appassionati, sezioneaffidata a Giangavino Pazzola, curatore di Camera a Torino. Altra novità, «Multipli» : sezione dedicata alle opere in edizione di ogni genere, a partire dai libri (seguita da Lisa Andreani e Simona Squadrito, fondatrici di Replica – Archivio italiano del libro d’artista). «Opus novum» è poi la commissione di un’opera inedita da presentare in fiera, rivolta a un artista italiano: nel 2023 è Alberto Garutti.

La performance, infine, è un ambito espressivo strettamente legato a Bologna e ad Arte Fiera, che dal 2019 ha fatto delle azioni dal vivo un punto fondamentale del suo programma di eventi. Si apre così un nuovo capitolo di questa storia, frutto di una collaborazione tra la kermesse e Fondazione Furla, e con la curatela di Bruna Roccasalva, direttrice artistica della Fondazione. Per il 2023 la scelta è di puntare su un solo, ambizioso progetto, presentato per la prima volta in Italia, che coniuga installazione, performance e coreografia: un intervento di Public Movement, collettivo artistico originario di Israele.

 

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