Kiev non ferma i tank, ma apre i corridoi umanitari
Ucraina No agli aiuti russi al Donbass
Ucraina No agli aiuti russi al Donbass
]Petro Poroshenko, il presidente ucraino, ha annunciato la creazione di un corridoio umanitario per consentire ai civili di lasciare le due regioni dell’est, Donetsk e Lugansk, teatro degli scontri tra i ribelli filorussi e l’esercito di Kiev, rimpolpato dalle milizie di estrema destra di Pravyi Sektor. La decisione, da una parte, suona come una marcia indietro.
L’offensiva di Kiev nell’est, durissima e condotta a tratti quasi alla cieca, senza troppe precauzioni verso la popolazione, è stata criticata da diversi gruppi impegnati sul fronte dei diritti umani. Poroshenko deve necessariamente alleggerirla, anche in virtù del fatto che i bombardamenti hanno spinto molti degli abitanti di queste regioni, anche chi è ostile al modo d’agire dei ribelli, a guardare con estrema diffidenza verso Kiev.
Dall’altra parte, il corridoio umanitario rappresenta però anche un passo in avanti in vista delle trattative che Kiev e Mosca dovranno condurre con l’obiettivo di chiudere la guerra civile nell’ex repubblica sovietica. È interesse di entrambe muoversi su questo tracciato. Poroshenko è consapevole dei limiti del suo esercito, sia militari che di fedeltà. Dal canto suo Putin sa che un coinvolgimento diretto nell’est ucraino può essere disastroso. Il gioco non è facile come lo è stato in Crimea, dove Mosca ha appena schierato venti caccia. Il negoziato russo-ucraino è complesso. Il ministro degli esteri russo, Sergei Lavrov, ha apprezzato il gesto di Poroshenko, che va incontro a una delle due esigenze manifestata da Mosca. Sull’altra, che consiste nell’inviare aiuti nell’est ucraino, Poroshenko non ne vuole sapere.
Teme che il Cremlino possa sfruttare la cosa per armare i ribelli, a suo dire armati e infiltrati da oltre confine. Si lavora anche a livello internazionale. Ieri a San Pietroburgo c’è stato un incontro tra Lavrov e gli omologhi tedesco e polacco, Frank-Walter Steinmeier e Radoslaw Sikorski. È stata ribadita la volontà di rafforzare la linea di comunicazione che Putin e Poroshenko hanno stabilito a partire da venerdì scorso, in Francia, in occasione del settantesimo anniversario dello sbarco in Normandia. Importante la presenza di Sikorski.
La Polonia, tra i paesi di stazza dell’Ue, è quella che vanta la posizione più dura nei confronti di Mosca. Ha anche reclamato, ottenendolo, l’aumento dell’impegno militare americano nell’Europa centro-orientale.
Ma Varsavia è anche molto esposta verso la Russia, in termini di importazioni energetiche e interscambio.
Dunque non può chiudere i ponti con la Russia, che da parte sua non può non ignorare che la Polonia ha una dote e un ruolo, negli equilibri regionali. Cosa che Steinmeier, pedalando in tandem con il collega polacco, ha voluto rimarcare. Facendo inoltre capire che Berlino, pur se incline a evitare l’irruenza con il Cremlino, non ha il ventre molle. La partita ucraina non passa solo dagli scontri di Donetsk e Lugansk. Paradossalmente questo è l’ostacolo più facile da superare, registra – forse troppo ottimisticamente – Neil Buckley sul Financial Times.
I due punti più importanti sono l’assetto istituzionale dell’ex repubblica sovietica e la collocazione internazionale. Sul primo versante, Mosca punta sulla federalizzazione. Kiev propone invece un decentramento tangibile, ma rifiuta l’opzione russa, temendo che possa balcanizzare il paese.
Quanto al secondo fattore, la Russia è ossessionata dall’ipotesi di adesione dell’Ucraina alla Nato. Poroshenko e la stessa Nato l’hanno esclusa. Gli ucraini non esibiscono entusiasmi così accesi verso tale prospettiva, anzi. Ma Putin non si fida e pensa che il rafforzamento dei legami di Kiev con l’Ue possa fare da anticamera all’espansione dell’alleanza atlantica, in una versione ribaltata di quanto accaduto nell’Europa centro-orientale tra il finire degli anni ’90 e la metà del decennio scorso, quando i paesi dell’area confluirono prima nella Nato e poi nell’Ue. Il presidente russo osserva quindi scetticamente il corteggiamento Kiev-Bruxelles.
Poroshenko, da parte sua, si trova un po’ chiuso all’angolo. La Majdan insorgerebbe, se Kiev dovesse sospendere o rallentare la firma degli Accordi di associazione con l’Ue, la cui parte politica è già stata vergata. Così scrive il Financial Times. I margini di manovra sono stretti. Sarà davvero difficile, come vorrebbe Poroshenko, chiudere entro la fine della settimana gli scontri a est. Arrivare a una sintesi sullo status complessivo dell’Ucraina pare ancora più impegnativo. Il tutto è complicato dalle trattative sul gas. In pieno corso, molto serrate. Mosca vuole che Kiev onori i suoi debiti, Kiev che Mosca tagli le tariffe.
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