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Kiev, da 100 giorni verso il default

Kiev, da 100 giorni verso il defaultPoroshenko, gli americani e la consegna di armi a Kiev – Reuters

Ucraina Il paese è a rischio fallimento «al 100%», secondo la valutazione di Moody’s

Pubblicato più di 9 anni faEdizione del 29 marzo 2015

Gli ultimi scontri tra il Presidente Petro Poroshenko e l’ex Governatore (dimissionato dal Presidente) della regione di Dnepropetrovsk, il magnate Igor Kolomojskij, stanno mettendo a nudo gli interessi reali privati delle più alte sfere pubbliche, che fanno capolino dietro gli slogan su libertà e democrazia.

Il debito estero
La situazione ucraina vede una riduzione del 22% della produzione, la chiusura di un quarto delle imprese e la crescita smisurata del debito estero, che ha raggiunto i 136 miliardi di dollari. Secondo la valutazione di Moody’s dello scorso 24 marzo, le probabilità di default del paese sono del 100%; l’agenzia ha abbassato il rating a lungo termine da Caa3 al penultimo gradino della scala, Ca, il che potrebbe significare perdite significative per i detentori di obbligazioni ucraine. La stessa agenzia indica che il debito estero, pur con la ristrutturazione delle eurobbligazioni, ora in discussione, rimarrà «molto alto»: l’Ucraina dovrà riservare 15,3 miliardi di dollari (dei 40 previsti come aiuto dal Fmi) in quattro anni ai servizi sul debito. In generale, rispetto al 2014, si parla di un deficit di oltre 40 miliardi di dollari: un terzo del PIL.

Già lo scorso gennaio l’Ucraina si era rivolta a Mosca per la ristrutturazione del proprio debito con la Russia. Secondo l’accordo sottoscritto tra i due paesi nel dicembre 2013 per un credito di 3 miliardi di dollari con l’acquisto di obbligazioni ucraine, Kiev non avrebbe potuto allargare il proprio debito oltre il 60% del Pil. Con tale limite superato da mesi, Mosca avrebbe potuto chiedere il pagamento immediato del debito, con il conseguente default dell’Ucraina; ma, per ora, il Cremlino non intende anticipare la scadenza normale del dicembre 2015, data a cui, però, Mosca si aspetta come aveva dichiarato lo scorso gennaio il Ministro delle finanze russo Anton Siluanov.

In effetti, nei giorni scorsi, la Ministra delle finanze ucraina, Natalja Jaresko (nata e cresciuta in Illinois, da emigrati ucraini; addestrata al Dipartimento di Stato e naturalizzata ucraina lo scorso dicembre da Petro Poroshenko, per consentirle di entrare nel governo), ha dichiarato che Kiev non ha intenzione di ristrutturare il debito con la Russia, aggiungendo che il paese rischia di non ricevere la seconda tranche di aiuti del Fmi, rimanendo fuori dai programmi se, entro il prossimo maggio, non porterà a positiva conclusione le trattative sulla ristrutturazione del debito con i creditori esteri. Tra questi ultimi, pare che il principale sia il fondo di investimenti statunitense «Franklin Templeton», che deterrebbe un terzo delle eurobbligazioni ucraine.

La situazione sociale
Per quanto riguarda la situazione sociale del paese, secondo il Pc ucraino, a gennaio-febbraio 2015 il commercio al dettaglio si è ridotto del 21,2%. «Ciò testimonia – scrive il Segretario del PC Pëtr Simonenko – che i cittadini hanno cominciato a fare economie sugli stessi prodotti di prima necessità e che l’economia sta perdendo il suo “principale investitore”, il comune consumatore». Hanno cessato l’attività circa 4.200 imprese agricole, 47.500 imprese industriali private, oltre 1.500 statali e 2.500 comunali.

Lo scorso 11 marzo, in occasione dei primi «100 giorni» del suo secondo governo, Jatsenjuk ha chiamato gli ucraini a «pensare non a sé, ma i propri figli e alle generazioni future e a come sollevare il paese da questo precipizio». Ciò significa, ha rilevato Simonenko, ammettere che la «situazione è catastrofica e che come risultato delle cosiddette riforme adottate da Jatsenjuk secondo le ricette del Fmi, l’attuale generazione è privata di ogni chance a godere di una vita normale».

E tra i risultati «del governo dei gastarbeiter» (parola mutuata dal tedesco, usata per indicare i vari ministri e vice ministri stranieri che compaiono nel governo ucraino ndr) i comunisti ucraini elencano: riserve valutarie precipitate da 22 a 5 miliardi di dollari; disoccupazione al 10%; caduta del PIL del 20% e, in alcuni settori, del 50%; moneta svalutata del 100%; aumentati del 100% i prezzi di generi alimentari e medicinali, con i salari congelati. D’altronde, queste sono esattamente le condizioni dettate dal Fmi per la concessione di un credito che, un mese fa, si annunciava di 40 miliardi di dollari in quattro anni: taglio di circa 230mila posti di lavoro pubblici, innalzamento dell’età pensionabile, prezzi dei servizi comunali (gas, elettricità, ecc.) aumentati di 5-6 volte, nuove tasse e aumento delle attuali, minaccia di non pagare gli stipendi (che in alcune imprese sono già fermi da oltre un anno.

Secondo i sindacati ucraini, il salario minimo è di tre volte inferiore al livello di povertà decretato dall’Onu, di 7 volte più basso che in Estonia o Slovacchia e dalle 15 alle 40 volte meno che in Austria o Germania. D’altronde, scrive Simonenko «parte dei crediti del Fmi finisce nel servizio del debito estero, cioè torna in Occidente, un’altra parte va nel fondo di riserva (affinché Jatsenjuk abbia di che rubare) e il resto va a rifinanziare le banche e le speculazioni degli oligarchi. L’economia reale non riceve nulla. L’Ucraina ha praticamente perso la sovranità economica e si è trasformata in un paese arretrato neocoloniale del “terzo mondo”, condotto da una élite alle dipendenze degli Usa e degli strozzini occidentali».

A parere del politologo ucraino Oleg Soskin i crediti occidentali non aiutano a stabilizzare il bilancio statale ucraino, ma, «attraverso schemi di cleptomania banditesca» finiscono nelle tasche degli oligarchi di governo e delle loro cordate. Degli ultimi 5 miliardi di dollari concessi dal Fmi, pare che il 45% sia andato alla banca nazionale e il 55% al governo: ecco perché la grivna, invece di rafforzarsi, continua a cadere. Uno dei meccanismi preferiti di arricchimento privato è quello del rifinanziamento di alcune banche private; tra queste la «Privatbank» (di proprietà dell’oligarca Igor Kolomojskij, che vi ha bloccato i conti dell’oligarca Poroshenko) o altre banche controllate da Poroshenko o dal tandem Jatsenjuk-Turcinov.

Anche l’attuale conflitto tra Petro Poroshenko e Igor Kolomojskij, a proposito del controllo di Ukrnafta e Ukrtransnafta, sembra rientrare nella guerra per l’accaparramento delle risorse naturali interne e dei soldi occidentali. «Ritengo che il FMI chiarirà presto la situazione e non concederà altri mezzi finanziari» conclude Soskin.

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