Si parla ancora del brutale assassinio di Jamal Khashoggi, non è stato dimenticato. Ma a due anni di distanza da quel 2 ottobre 2018 in cui il giornalista e editorialista del Washington Post fu assassinato nel consolato saudita a Istanbul da una squadra di killer giunta da Riyadh, regna la frustrazione tra i difensori dei diritti umani. Lo scorrere del tempo affievolisce la possibilità di vedere sul banco degli imputati l’uomo che è universalmente considerato il mandante dell’eliminazione di Khashoggi, il potente e spregiudicato erede al trono saudita Mohammed bin Salman (Mbs).

 

Il mese scorso è terminato in Arabia saudita il processo d’appello-farsa contro otto persone, condannate a pene da 7 a 20 anni dopo il «perdono» della famiglia del giornalista contraria alla pena di morte. A luglio in Turchia è iniziato il processo contro i venti killer, tra cui due fedelissimi di Mbs. A questi potrebbero aggiungersi altri sei sospetti, incriminati nei giorni scorsi. Tutti sono però imputati in contumacia: Riyadh nega le estradizioni. Mohammed bin Salman può stare tranquillo, nessuno toccherà il futuro re.

 

Jamal Khashoggi dagli Stati uniti si era recato a Istanbul per richiedere al consolato saudita i documenti necessari per sposare la ricercatrice turca Hatice Cengiz. Veniva da due anni molto intensi. Da influente sostenitore della famiglia reale era diventato una minaccia alla sicurezza del paese per le critiche puntuali che rivolgeva alla politica e alle scelte di Mohammed bin Salman. Sapeva di essere nel mirino dell’intelligence saudita ma si riteneva al sicuro in Turchia. Invece, allertati dai rappresentanti diplomatici sauditi, il 2 ottobre i killer lo attendevano proprio nel consolato dal quale non sarebbe uscito vivo. Secondo l’inchiesta svolta dalle autorità turche, con l’ausilio di registrazioni video e audio, gli assassini dopo aver strangolato il giornalista lo fecero a pezzi. Quindi lasciarono la Turchia con largo anticipo sull’allarme lanciato da Hatice Cengiz. I resti di Khashoggi non sono mai stati trovati.

 

La Cia raccolse subito elementi sufficienti per confermare la responsabilità dell’erede al trono saudita nell’omicidio ma Trump mise a tacere l’indagine. Mbs, fece capire, non si tocca perché è un alleato strategico degli Usa. «Gli ho salvato il culo…Sono stato in grado di convincere il Congresso a lasciarlo in pace», dichiara il presidente Usa in un’intervista sull’omicidio di Khashoggi inclusa in Rage, l’ultimo libro del giornalista premio Pulitzer, Bob Woodward, uscito qualche settimana fa. «Credi che sia stato lui (Mbs)?» chiede Woodward. «Dice di non averlo fatto», risponde Trump che poi aggiunge «Bob…(i sauditi) hanno speso 400 miliardi di dollari (per armi e prodotti Usa, ndr) in un periodo di tempo abbastanza breve… Non durerebbero una settimana se non ci fossimo noi e lo sanno». Il candidato democratico alle presidenziali Usa Joe Biden assicura che se andrà alla Casa Bianca avrà un approccio ben diverso con i sauditi. Le promesse non mantenute sono un pilastro delle campagne elettorali.