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Khartoum pronta all’accordo con Israele, Riyadh tira il freno a mano

Khartoum pronta all’accordo con Israele, Riyadh tira il freno a manoGedda. Un manifesto con re Salman e suo figlio Mohammed bin Salman – Ap

Medio oriente Il Sudan in cambio dell'avvio di piene relazioni con Israele vuole aiuti economici e finanziari e soprattutto la sua rimozione dalla lista Usa dei paesi sponsor del terrorismo. Intanto lo scontro al vertice nella monarchia saudita rallenta la normalizzazione con lo Stato ebraico

Pubblicato circa 4 anni faEdizione del 22 settembre 2020

Oman, Comore, Gibuti, Mauritania e Sudan. Sono questi i cinque paesi arabi o a maggioranza musulmana di cui, senza farne i nomi, Trump nei giorni scorsi aveva parlato come impegnati a negoziare, con la sua Amministrazione, la normalizzazione in tempi stretti dei rapporti con Israele e a seguire il percorso già fatto da Emirati e Bahrain. Invece li cita esplicitamente l’Autorità nazionale palestinese. «Israele pensa che sia possa fare la pace con Sudan, Oman, Comore, Gibuti, Mauritania e ancora altri senza fare la pace con i palestinesi. Ma questa non è la pace è solo una illusione di pace», ha detto il ministro degli affari sociali, Ahmed Majdalani, intervistato dall’emittente israeliana Kan.

 

Qualche giorno fa l’Oman appariva sul punto di dare il via libera all’annuncio dalla Casa Bianca del terzo accordo tra Israele e un paese arabo in poco più di un mese. D’altronde il sultano Qabus, scomparso a gennaio, aveva accolto a Muscat a braccia aperte, un paio di anni fa, il premier israeliano Netanyahu facendo parlare di intesa vicina tra i due paesi. Il nuovo sultano Haitham bin Tariq Al Said, cugina di Qabus, però ha adottato una linea più prudente che tiene conto delle buone relazioni che l’Oman mantiene con l’Iran. Muscat prende tempo, teme le reazioni di Tehran che vede nella normalizzazione tra Israele e i paesi arabi la costituzione di un blocco anti-iraniano.

 

Intanto gli Emirati, scrive l’autorevole sito d’informazione Axios, non solo hanno allacciato rapporti pieni con Israele ma sono impegnati, assieme agli Usa, a persuadere il Sudan ad unirsi alla normalizzazione. Rappresentanti del Sudan, degli Emirati e americani terranno un incontro decisivo domenica ad Abu Dhabi. In cambio dell’intesa con Israele, aggiunge Axios, il regime militare che si è insediato a Khartoum chiede aiuti alimentari tra 1,2 miliardi e due miliardi di dollari e un prestito da restituire in 25 anni. Più di tutto vuole la rimozione del Sudan dalla lista compilata dal Dipartimento di stato dei paesi che sarebbero sponsor del terrorismo internazionale e il ritiro della richiesta Usa di un risarcimento da 300 milioni di dollari per le famiglie delle vittime di attacchi armati. A caldeggiare la normalizzazione con Israele a quanto pare è lo stesso Presidente del Consiglio della sovranità sudanese, il generale Abdel Fattah Burhan, che ha incontrato Netanyahu a febbraio.

 

Tuttavia il colpo più grosso, l’accordo tra Israele e Arabia saudita, resta fermo in canna, inesploso. Donald Trump sta facendo di tutto per convincere Riyadh ad annunciare la svolta prima delle presidenziali Usa. E Israele è pronto a discutere un ruolo di primo piano della monarchia saudita nella gestione della Moschea di al Aqsa a Gerusalemme (a danno della storica custodia giordana). Ma la famiglia reale saudita è spaccata sul possibile abbraccio con Israele, con cui comunque mantiene strette relazioni in segreto da diversi anni. Favorevole all’accordo immediato è il giovane e potente erede al trono, Mohammed bin Salman (noto come MbS), che più volte ha fatto intendere di non tenere in alcun conto i diritti dei palestinesi sotto occupazione militare e di avere in mente soltanto il blocco arabo-israeliano contro l’Iran. Il padre, l’84enne re Salman, è in disaccordo: ritiene che la normalizzazione ufficiale dovrebbe avvenire quando i palestinesi avranno il loro Stato indipendente.

 

Stando a quanto riferisce il Wall Street Journal, quotidiano vicino all’Amministrazione Trump, MbS avrebbe tenuto il padre all’oscuro delle intenzioni degli Emirati di andare a piene relazioni con Israele. Così, una volta annunciato l’accordo tra Tel Aviv e Abu Dhabi, re Salman ha ordinato al ministero degli esteri saudita di riaffermare l’impegno del regno per la creazione di uno Stato palestinese, senza menzionare la normalizzazione. Il compromesso tra padre e figlio è stato, a quanto pare, quello di suggerire, o meglio di intimare, al piccolo Bahrain (di fatto un protettorato saudita) di accordarsi con Israele. Il tempo comunque è dalla parte di Netanyahu. Riyadh l’accordo lo farà, non ci sono dubbi, ma dovrà aspettare che re Salman si convinca a dare la sua benedizione o che passi a miglior vita lasciando il trono all’ambizioso MbS.

 

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