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Kashmir, l’esercito indiano uccide almeno 20 «ribelli»

Kashmir, l’esercito indiano uccide almeno 20 «ribelli»Un momento degli scontri tra la polizia indiana e i manifestanti kashmiri a Srinagar – Afp

India/Kashmir Le organizzazioni indipendentiste kashmire hanno indetto uno sciopero di due giorni

Pubblicato più di 6 anni faEdizione del 3 aprile 2018

Domenica 1 aprile prima dell’alba l’esercito indiano, in collaborazione con la polizia locale e gli agenti della Central Reserve Police Force (Crpf, il più grande corpo di polizia federale del paese), ha condotto una serie di operazioni antiterrorismo nello stato di Jammu e Kashmir, uccidendo almeno 20 militanti e quattro civili.

LE AUTORITÀ, dopo aver raccolto per mesi indiscrezioni e dati di intelligence circa i nascondigli utilizzati dai militanti, hanno attaccato due villaggi del distretto di Sophian e un villaggio del distretto di Anantnag.

Secondo le dichiarazioni rilasciate ieri dal tenente generale A.K. Bhatt, i militanti uccisi negli scontri a fuoco di domenica – tre le vittime tra i militari – sarebbero tutti affiliati a organizzazioni considerate dal governo indiano di matrice terroristica: uno alla pachistana Lashkar-e-Taiba, il resto alla kashmira Hizbul Mujahideen.

DURANTE L’ASSEDIO dei nascondigli dei militanti nella valle del Kashmir, dove dalla fine degli anni ’80 la rivendicazione dell’indipendenza dall’India è sfociata nella lotta armata, centinaia di civili hanno tentato di intralciare i soldati bersagliandoli con lanci di pietre. La polizia ha risposto sparando sulla folla sia con munizioni tradizionali sia con fucili a pallettoni, uccidendo almeno tre civili e ferendone più di 70. La maggior parte dei trenta feriti curati nell’ospedale di Srinagar, capitale del Kashmir, ha riscontrato lesioni agli occhi provocate dall’uso di cariche a pallettoni di piombo. Le regole d’ingaggio delle truppe in Kashmir imporrebbero l’utilizzo dei fucili a pallettoni puntandoli categoricamente sotto il bacino.

GLI SCONTRI tra le forze dell’ordine e i manifestanti si sono registrati in diverse località del Kashmir, in particolare nella città di Sophian, dove migliaia di persone hanno partecipato ai funerali di una delle vittime di domenica, Zubair Ahmad Turray. Il 23enne, secondo quanto dichiarato dalla famiglia al magazine online indiano The Quint lo scorso anno, era già stato arrestato più di venti volte dalle autorità locali, sin dall’età di 11 anni. Nel maggio del 2017, mentre agli arresti con l’accusa di «lancio di pietre» – in Kashmir equiparata al tentato omicidio ai sensi della legge speciale Public Safety Act in vigore nella Valle – Turray è riuscito ad evadere e ad arruolarsi negli Hizbul Mujahideen. In un video diffuso sui social network, Turray si diceva «costretto a unirmi alla militanza dalle torture e dalla crudeltà della polizia indiana».

L’ESERCITO INDIANO, impegnato nella repressione dei movimenti indipendentisti kashmiri – violenti e non violenti – da oltre trent’anni, è accusato di violazioni di diritti umani e detenzioni illegali dalle principali organizzazioni internazionali per i diritti umani. Si stima che dalla fine degli anni Ottanta a oggi le vittime kashmire della rappresaglia militare indiana superino quota settantamila. Mentre gli scontri tra manifestanti e polizia continuano in tutta la valle, le organizzazioni indipendentiste kashmire hanno indetto uno sciopero totale della durata di due giorni.

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