Nella mezza dozzina di mail che, in questi ultimi anni, ho avuto la fortuna di scambiare con Wojeciech Karpinski – e l’unica volta che ci siamo incontrati, a Parigi, nel suo bell’appartamento in rue Fornin, Place de l’Italie, tappezzato (non soffocato) di libri sceltissimi, quadri e disegni di artisti amici – un motivo tornava e ritornava: il tempo corre, non tutto si può leggere, scrivere, progettare. Ars longa vita brevis, insomma. E non che la vita di Karpinski sia stata particolarmente breve: è mancato all’improvviso, il 18 agosto, a settantasette anni, nel pieno della sua laboriosità; né mi risulta fosse acciaccato più di tanto. Ma almeno fino al gennaio del 2022 – quando, nel cinquantenario della morte, è prevista l’uscita di un «Meridiano» dedicato a Nicola Chiaromonte – assolutamente Karpinski sarebbe dovuto restare (e brindare!) fra noi.
«Hai visto il “Meridiano” Herling?», mi scriveva (in inglese, anche se leggeva benissimo l’italiano) qualche mese fa: «A mio giudizio è riuscito perfettamente. Ho quasi perso l’aereo a Capodichino, tornando dal festival Herling l’autunno scorso, tanto ero immerso nell’edizione, specialmente la Cronologia di Marta Herling, che è un libro in sé, un libro affascinante». E quando, poco dopo, a sorpresa la Mondadori lo aveva contattato per aver lumi sulla situazione dei diritti delle opere di Chiaromonte – di cui era esecutore letterario – per Karpinski è stato un momento di pura esultanza: una soddisfazione affatto disinteressata, e la trepidazione di un piacere quasi fisico: «Che gioia sarebbe per Miriam [la vedova di Nicola]! Speriamo che vada tutto liscio, ma mi sentirò completamente sicuro solo quando potrò accarezzare la bella legatura blu scuro».
La devozione degli scrittori polacchi per un autore quasi quanto loro ‘apolide’ – o meglio, dalle tante poleis – come fu Chiaromonte, è cosa abbastanza nota (nell’Abbecedario di Czesław Miłosz la voce CHIAROMONTE, Nicola inizia: «Questo nome nella mia mente è sempre stato associato a pensieri di grandezza…»). Ma trovare un editore italiano disposto a pubblicare i suoi magnifici taccuini (Che cosa rimane, il Mulino 1995) e – peggio ancora – le indimenticabili lettere a ‘Muska’ (Fra me e te la verità, Forlì, una città 2013), per Karpinski, che non ha mai demorso, deve esser stata una via crucis: la notizia del «Meridiano», così inaspettata, la domenica di Pasqua… E che si meritasse di godersela almeno fino a sera lo dimostrano – dopo tanti scritti e tanto lavoro editoriale – anche il gusto e l’eleganza della galleria fotografica che, in tempi recenti, aveva allestito (http://www.wojciechkarpinski.com/album-chiaromonte) e spero continui a esser in rete.
Di Karpinski, in italiano credo si leggano soltanto, rispettivamente, l’introduzione e la postfazione ai due libri di Chiaromonte appena ricordati; e – in calce alle ‘conferenze clandestine’ di Jósef Czapski (Proust a Grjazovec, Adelphi 2015) – il saggio Testimone del secolo, una ventina di pagine (datate 1989) che costituiscono il primo capitolo del suo avvolgente Portrait de Czapski (L’Age d’Homme 2003), un libro composito, in perfetto, commosso equilibrio fra biografia e autobiografia, saggio e memoir. E in francese ho appena scoperto anche un altro titolo: Ces livres de grand chemin (Noir sur Blanc 1992), che – vedo nella scheda della libreria, intanto che lo acquisto con un clic su ebay – riunisce scritti su Stempowski, Czapski, Wat, Gombrowicz, Miłosz, Herling, Jelenski, insomma (immagino) il racconto – spesso in prima persona, insofferente del pettegolezzo frivolo, non dell’aneddoto risonante, che apre squarci di vita – della letteratura polacca del dopoguerra, in esilio attorno alla rivista «Kultura».
Degli altri suoi libri – di storia politica e sociale, di viaggio e memorie, di critica d’arte – dirà forse chi può leggerseli in polacco (nella traduzione in Wikipedia certi titoli promettono assai bene: Un ricordo dell’Italia, La pipa di Van Gogh, Immagini di Londra… ma Karpinski sarebbe il primo ad ammonire che il tempo scorre, non si può leggere tutto). Qui ricordo solo, perché gli era caro, il catalogo delle opere dell’amico Krzysztof Jung, Peintures et dessins (Bibliothèque Polonaise de Paris 2017), Jung sì mancato così presto, nel ’98 a quarantasette anni. Nello scrivere d’arte, con assoluta indipendenza di giudizio Karpinski si era creato un suo originalissimo pantheon, le cui divinità – perfettamente fuori moda come ogni trinità che si rispetti! – erano Eugène Fromentin, Pavel Muratov e, ancora, Jósef Czapski (sua la scelta dei saggi raccolti ne L’Art et la vie, sempre L’Age d’Homme 2002). A Parigi mi aveva messo in mano l’edizione russa delle Immagini dell’Italia di Muratov, conclamando la sua esasperazione che, a più di cent’anni dalla stesura, «il più bel libro mai scritto sull’arte italiana» (parola anche di Clive James) non fosse ancora stato tradotto in nessuna lingua occidentale: e quando, finalmente, il Natale scorso Adelphi ne ha mandato in libreria il primo volume, se ne felicitava come del successo transalpino di un’opera propria. E in primavera, mentre si preparava ad accompagnare il lancio dell’edizione francese della biografia di Czapski di Eric Karpeles (Almost Nothing. The 20th-Century Art and Life of Jósef Czapski, NYRB 2018), che Noir sur Blanc aveva in uscita a giugno, ma per via del Covid è slittata a ottobre, mi scriveva: «Parlando di editori italiani. Hai idea di a chi si potrebbe suggerire il libro di Eric? Mi piacerebbe così tanto vederlo in italiano con una casa editrice importante (nei miei sogni lo vedo nella “Biblioteca” Adelphi…». Stiamo a vedere: semmai, perché no?, nella «Collana dei casi»…