Visioni

«Karonte», gli eroi della tragedia dopo la punizione divina

«Karonte», gli eroi della tragedia dopo  la punizione divinaFoto di Monica Iacopini

Teatro Lo spettacolo di Alfonso Santagata negli anfratti delle miniere Marchi di Ravi

Pubblicato circa 8 anni faEdizione del 12 agosto 2016
Gianfranco CapittaGAVORRANO (Grosseto)

Alfonso Santagata ha coltivato per molti anni un «amore» molto teatrale: la storia della genìa dei Labdacidi, la stirpe di Laio, suo figlio Edipo, i figli di questo Antigone, Eteocle e Polinice. È la storia del potere dentro le mura di Tebe, con le sue sette porte e il suo carico di maledizioni, dal fondatore Cadmo fino a tutte le tragedie che dei figli di Edipo portano il nome, da Antigone a I sette a Tebe. Una mitologia che della classicità greca fu il cuore, coltivata da autori diversissimi tra loro, da Sofocle a Euripide.
Santagata è ripartito quasi vent’anni fa da questo nucleo drammatico, per rielaborarne un suo particolare itinerario. Tragedia ammare debuttò, in tempi di direzione Martone al Teatro di Roma, in un allestimento emozionante sulle dune di Castelporziano, sprofondato tra sabbia e flutti. Ma visse ancora in altri luoghi, ogni volta assumendone l’intima profondità, dal Cretto di Burri sui ruderi di Gibellina alle Terme romane nelle viscere di Chieti.

Ora l’artista ha da qualche anno radicato il proprio percorso artistico nelle Colline Metallifere in Maremma. Un luogo significativo, che mantiene vivo il ricordo della propria importanza nella storia dell’industria italiana, lo strapotere di questa ma anche il carico esistenziale di generazioni che vi hanno profuso sudore e fatica, e le lotte sociali che da quelle miniere sono sgorgate, approdate alle cronache nazionali assieme ai «fanghi di Scarlino» di triste memoria che da quelle medesime miniere scaturivano. In quei pozzi e tunnel, Santagata ha evocato con i suoi attori, ogni estate ormai da qualche anno, quelle storie e quei sentimenti «metalliferi» di chi vi ha lavorato, partendo dalle cronache storiche e dalla documentazione esistente, che è riuscito a trasformare in vibrante e attuale umanità.

Ora però, è scattato un lampo teatralmente geniale: sezionare quegli antichi miti greci con i piani, i falsipiani, i crateri, le salite e gli anfratti delle miniere Marchi di Ravi. È nato così Karonte, rappresentazione itinerante attraverso le intimità, i controluce, la rilettura a tutto tondo di quelle esistenze lontane, che il mito rende siderali come le stelle che affollano il cielo. Caronte traghettatore di ombre è la figura chiave di questo percorso, annunciato da Tiresia, l’indovino ambiguo che di tutte quelle tragedie è stato partecipe e consapevole, pur senza mai poterle impedire. È lui, a inizio spettacolo, a darcene la chiave: ha ottenuto, dopo tanto soffrire di qua e di là dell’Ade, di poter essere traghettato «in senso inverso» da Caronte, in modo che nella stessa prospettiva anche noi possiamo scorgere quei personaggi «dopo la caduta», compiere con la coscienza del dopo le azioni che furono loro fatali.

Si affievolisce in qualche modo il significato della tragedia, ma non diminuisce la sensazione di dolore e di smarrimento davanti a quelle insensate vocazioni al «peccato» e alla sua punizione, divina o meno che sia. Compaiono momenti inesistenti nella precedente Tragedia ammare, come la Colono ateniese ove giunge il vecchio Edipo, che verrà deluso dall’accoglienza, ma si consolerà con una visione sorprendente: «Ma qui siamo a teatro!». E Antigone potrà esibirsi in un vecchio successo di Mina tra gli applausi degli astanti. Che precedono di poco quelli del pubblico che concede un vero trionfo a Santagata e ai suoi attori (tra gli altri Daria Panettieri, Tommaso Taddei e Sergio Licatalosi), e alle ombre familiari e inquietanti cui hanno dato corpo e sangue.

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