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Karlovy Vary, una passeggiata nel cinema

Karlovy Vary, una passeggiata nel cinema

Festival Impressioni dalla kermesse in Repubblica Ceca, tra classici, proposte, e documentari

Pubblicato più di un anno faEdizione del 15 luglio 2023

Camminando per la città di Karlovy Vary, ci sono fontane dappertutto, di fianco al fiume e sotto le colonnade. I turisti circolano con dei bicchierini di ceramica particolari, che sembrano tiere con un lungo beccuccio dal quale si beve l’acqua che ha un gusto leggero di uovo marcia. Se questo non era abbastanza invitante, qualcuno mi ha detto che dalle decine di fontane c’era uno che provocasse diarrea. Ma nessuno sa quale. Meglio in questo caso guadarsi un film.

Il 57° Karlovy Vary International Film Festival offriva cinema in abbondanza, con i VIP di Hollywood come Russell Crowe e Ewan McGregor e l’attrice danese Alicia Vikander ed un programma ricco dei primi internazionali e una selezione di cinema che rappresentava numerosi paesi. Crowe era qui per ricevere un premio alla carriera e suonare con il suo gruppo, un’esperienza simile ad una tassa che tutti devono pagare se la sua presenza è richiesta. È  come un amico amato che arriva a ogni festa con la chitarra. Ma quando ho visto «Master & Commander – Sfida ai confini del mare» (2003) in 35mm le due ore ascoltando Crowe uccidere le canzoni di Leonard Cohen e gli altri vengono perdonati.

Il direttore artistico Karel Och mi ha detto che il film è il suo preferito: «un capolavoro». Mi ha spiegato che il festival è «un festival vecchio e giovane allo stesso tempo, nato nel 1946, lo stesso anno di Cannes e Locarno. Ma poi con l’arrivo dei comunisti nel 1948 non si poteva parlare della libertà di espressione anche se c’era anche qualche scoperta esclusiva in particolare nel cinema del cosiddetto terzo mondo e una forte presenza del cinema africano. Ma negli anni 90 dopo la caduta del comunismo, c’era la necessità di una rinascita, di trovare una nuova forma, una nuova identità e il famoso attore cecco Jiří Bartoška ne diventò la faccia e il presidente del festival e al suo fianco come direttore artistico il critico Eva Zaoralová impara tutto da zero e lei mi invitò a succederle».

La storia e la realtà contemporanea si incontrano nel caso di Edward Gretna: «Nel 1948 quando aveva 17 anni è venuto al festival e ha visto una pellicola messicana “Puerto Escondido” e decise di diventare un regista. Ha avuto un grande successo negli anni 60 ma era contro l’invasione sovietica della Czechoslovakia e quindi fu cancellato e non poteva trovare lavoro. Oggi lui ha 91 anni e c’è un documentario su di lui che proiettiamo e lui è tornato per essere con noi. Così connettiamo il passato con il presente».

Il festival è aperto con «Las chicas están bien» di Itsaso Arana, un film che trasmette il colore dell’estate che ritrae quattro attrici che fanno una prova di un spettacolo e parlano delle loro vite. La descrizione non sembra un granché ma in realtà c’è una magia che funziona e rende tutto bellissimo. Dalla parte opposta dello spettro c’è «Les Chambers Rouge» del canadese francofono Pascal Planke, un giallo scuro che segue Kelly-Ann (Juliette Gariepy), una folle mega-fan di un serial killer. Lei assiste al processo del killer come un concerto di Taylor Swift e durante la notte cerca il web per il video testimonianza dell’uccisione di sua ultima vittima. Con la freddezza di Michael Mann e la profonda capacità di disturbare di un film di Haneke, il film sicuramente arriverà nelle sale italiane o sullo streaming. «Het Smelt (Quando si scioglie)», il film debutto di Veerle Baetens segue una donna giovane che ritorna al suo paesino della sua gioventù per finalmente svelare un segreto terribile del passato. Il film indaga su una perdita di innocenza, elevata da due interpretazioni di Charlotte De Bruyne di Eva come adulto e Rosa Marchant di Eva giovane, prima che tutto andasse terribilmente storto.

C’erano anche un paio di documentari sul cinema che meritano di essere notati. «The Ghost of Richard Harris» di Adrian Sibley presenta un ritratto del leggendario attore irlandese, utilizzando le testimonianze di suoi figli (fra di loro attore famoso Jared Harris) e una ricca selezione di filmati d’epoca. Il ritratto parla anche del prezzo della fama e il costo spesso nascosto della vita privata della celebrità. Le diverse difficoltà – droga, alcool ecc – autoinflitte da Harris sono superate dalle condizioni estreme che compaiono un troupe di cineasti libanesi che provano a girare un film nel loro paese subito dopo l’esplosione del porto di Beirut nel 2020. «Dancing on the Edge of the Volcano» di Cyril Aris segue Mounia Akl e suo troupe che preparano «Costa Brava, Lebanon» nonostante l’esplosione, Covid, un attore palastinese che fa molto fatica a viaggiare e una tempesta improvvisa. Assomiglia a «Lost in Mancha» di Terry Gilliam, ma qui i problemi non sono quelli di una regista visionario che batte la testa contro i limiti ma di un popolo che deve cercare in ogni modo di scappare dalle limitazioni imposte dalla politica. Fra tutto sopravvive un ispirato amore per il cinema. Cinema era anche il soggetto per il lungometraggio di esordio di Naqqash Khalid, «In Camera». La storia segue la vita di un attore aspirante Aden (Nabhaan Rizwan), che va da una prova a un altro con piccoli strani ruoli – il cadavere in un giallo – tra di loro. Fra il lavoro sempre più strano della sua vita quotidiana con due coinquilini che forse esistono solo in sua testa, la realtà viene distorto.

Alla fine del Festival, il premio era vinto da Stephan Komandarev e il suo «Blaga’s Lessons», un film dalla Bulgaria che racconta come una anziana vittima di un truffa diventa una truffatrice anche lei. Eli Skorcheva, l’attrice principale, vinse anche lei un premio. Il film iraniano «Empty Nets» di Behrooz Karamizade era premiato e un classico dell’avventura francese «The Edge of the Blade» di attore diventato regista Vincent Perez, vinse il premio del pubblico. «Dancing on the Edge of a Volcano» ha ricevuto una meritata menzione speciale dalla giuria.

Alla fine della fiera il festival mi ha colpito per il suo pubblico. Ogni sala era sempre piena; la fila per un posto alll’ultimo minuto era sempre lunga. Le domande per i registi erano intelligenti e precise. Ogni sera c’erano feste che duravano fino alla mattina. Karlovy Vary mi sembrava un Glastonbury per i cinefili.

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