Il primo incontro tra Kafka e Brod non era stato promettente: alla Lese- und Redehalle di Praga, rifugio di ebrei  assimilati e colti,  Kafka aveva assistito nel 1902 alla conferenza del giovanotto di buone speranze che aveva criticato aspramente Nietzsche da posizioni rigidamente schopenhaueriane. Kafka non poteva essere d’accordo; aveva fatto suo quel «mal di mare», una scelta esistenziale che per il filosofo «consente le prove e gli esperimenti più istruttivi in campo spirituale». Ma per rendere tollerabile l’ossessivo beccheggiare,  Kafka aveva  bisogno di uno spettatore in possesso – così suggerisce Lucrezio nel grandioso incipit di De Rerum natura  di una buona dose di epicureismo. Brod era perfetto in questo ruolo: ricco, ostinatamente ‘occidentale’, già noto sulla scena letteraria tedesca, portava nel corpo i segni di una natura poco benevola e non avrebbe rischiato l’equilibrio conquistato con grande fatica per condividere l’ossessiva sfida kafkiana alla insalvabilità dell’Io. Come il Conoscente per il Grassone, due personaggi che compaiono in Descrizione di una battaglia, Brod sarebbe stato il perfetto «misuratore» e Kafka avrebbe potuto contare sul contenimento ansioso, stabile e idealizzante che gli offriva senza resistenze. È noto che a  lui Kafka aveva affidato i suoi scritti perché li distruggesse (o forse anche no) e che  Brod si fosse guardato bene dal farlo: come lo stile del loro rapporto imponeva, aveva scansato il «naufragio»  per donare ai testi quella vita ordinata, impegnata e soddisfatta che aveva sapientemente costruito per sé.

L’epistolario imperfetto tra i due scrittori che, per numero e interesse delle lettere, ha in Kafka l’assoluto protagonista, permette di sbirciare in questo lungo e fedele legame regalando conferme, ma anche molte sorprese. Lo ha ripubblicato dopo quasi dieci anni Neri Pozza con la traduzione e la cura, entrambe ottime, di Marco Rispoli e Luca Zenobi: Un altro scrivere Lettere 1904-1924 (pp. 448, € 30,00). L’edizione è quella ‘canonica’ curata nel 1989 da Malcolm Pasley che aveva recuperato faticosamente alcune missive di Brod a testimonianza di un legame che rimane tra i maggiori enigmi nella vita di Kafka  «La sua amicizia con Brod – è per me soprattutto un punto interrogativo, che egli ha voluto dipingere al margine dei suoi giorni» sostiene Benjamin in una lettera a  Scholem del 1938 senza cogliere  quante somiglianze (delle differenze è inutile parlare) ci siano in queste due coppie asimmetriche in cui l’ossessione  creaturale dell’uno cerca nell’altro la consolazione di una amorevole e ansiosa concretezza, barattata con le seduzioni della genialità.

Come era del resto prevedibile, le lettere dei due autori sono molto diverse: le frasi di Brod sono semplici e spontanee; la sua scrittura è privata, diretta, senza alcuna pretesa di letterarietà: risulta vivace, ingenua,  a tratti irritante per una mancanza di filtri che lascia intravedere una separazione ormai del tutto ‘inattuale’ a inizio secolo tra arte e vita e una personalità,  forse di metallo non pregiatissimo ma costruita  con «un solo getto» – avrebbe apprezzato Hofmannsthal.

Kafka non tradisce invece neppure in queste pagine ‘private’  l’abitudine a trascrivere tutto ciò che vive in forma ‘letteraria’: «cerco sempre di comunicare quello che non si può comunicare, di spiegare qualcosa di inspiegabile». Così, in una lettera del 1923, ribadisce di negare ogni spontaneità: «se scrivo è soprattutto per ragioni strategiche […] non mi fido delle parole e delle lettere, non voglio condividere il mio cuore con le persone, con i fantasmi che giocano con le parole e leggono le lettere con la lingua di fuori».

Ma non manca qualche «ora libera» dalla  compunta modellizzazione di ogni  frammento di vita. Emerge così a tratti dalle lettere un personaggio inaspettato: pronto al riso, interessato a comprendere sia le situazioni che i sentimenti, capace di entusiasmi, ironico, saggio, divertente  e molto generoso.