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Kadid, Rufai e le altre. Una parata di resistenza

Kadid, Rufai e le altre. Una parata di resistenza

Teatro Cantieri Meticci ha lanciato da qualche anno una serie di laboratori nei centri di prima e seconda accoglienza. Un progetto che sperimenta una forma di cittadinanza attiva

Pubblicato circa 9 anni faEdizione del 19 agosto 2015

«Mentre cammini per strada,libero della tua direzione, pensa agli altri: coloro che non possono passare attraverso i muri. Quando tutti tengono chiusa la porta, pensa agli altri: a chi sta bussando. Tieni aperta la tua». Sono alcuni esempi di elaborati, frutto dei laboratori teatrali tenuti dentro sei diversi centri di prima e seconda accoglienza di Bologna. Prendendo spunto e parafrasando i versi di Pensa agli altri del poeta palestinese Darwish, alcune donne straniere, che frequentano il centro Agave che segue madri e bambini nel loro delicato e a volte difficile rapporto, in un caldo pomeriggio di fine giugno, con l’aiuto di alcuni attori, hanno prodotto questi testi. Semplici esercizi di pratica teatrale, narrazione, recitazione a voce alta e rielaborazione di storie autobiografiche e non, come esperimento di partecipazione e sfogo. Un grido sommesso di ricordi spesso dolorosi insieme alla ritrosia di chi si sottrae al «gioco».

 
Nel piccolo giardino della struttura, affianco a due alberi di banani, si fanno le prove per quello che sarà l’evento conclusivo di un ciclo di laboratori compresi nel progetto Nessun uomo è un’isola. Il gruppo è piccolo ed eterogeneo, donne africane, giovani e meno, dell’est Europa, del Maghreb. All’inizio molta timidezza, poi, nonostante quasi tutte parlino solo in inglese e francese, arriva il coraggio per lanciarsi e partecipare. Questo percorso artistico, ideato dalla compagnia Cantieri Meticci, con la regia di Pietro Floridia, è un progetto pilota in Italia. Per la prima volta l’accesso nei centri di accoglienza è per tessere relazioni attraverso l’uso del teatro, delle percussioni, della danza, la narrazione.
Tutto è nato durante il festival Sabir, nell’ottobre scorso a Lampedusa, dove gli attori hanno raccolto storie e testimonianze della gente che vive sull’isola, i pescatori e i profughi. Lì è nata un’amicizia con Ascanio Celestini, ospite e sostenitore del festival, un seme che è germogliato durante tutto l’inverno scorso fino all’esito finale della festosa parata Lampedusa Stories che si è svolta per le strade del centro di Bologna nelle scorse settimane.

 
Il progetto è l’ultimo tassello di un lavoro fatto nei centri di accoglienza dalla compagnia negli ultimi dieci anni. Regolarmente tutti i lunedì gli attori fanno attività con rifugiati e richiedenti asilo. Questa volta la sfida è stata invertire le regole del gioco ed entrare nelle loro case (i centri) avvicinando anche la cittadinanza. L’approccio iniziale durante gli incontri è quello della socializzazione, l’osservazione delle attitudini dei singoli. Hanno partecipato in circa sessanta stranieri provenienti soprattutto dall’Africa, molti arrivati da poco e appena sottoposti ad identificazione e visite sanitarie prima di venire smistati in centri di seconda accoglienza.

 

 

La struttura di questa prima fase è quella dell’ex Cie di Bologna, le sbarre, il cemento e lo squallore sono gli stessi tanto contestati in passato, la destinazione d’uso è cambiata e anche le porte non sono più blindate. È lì che a fine giugno è arrivata Kadid, poco più di trent’anni, con una bimba di quattro, originaria della Costa d’Avorio. Racconta la sua storia con semplicità, mentre gli altri fanno le prove lei è seduta all’ombra per ripararsi dal caldo. Spiega perché è partita a bordo di un gommone rischiando la vita. A vent’anni, dopo aver subito un’escissione, è stata costretta dalla famiglia a sposare un cugino, dopo alcuni anni però si è innamorata di un altro uomo. Ha lasciato il marito e ha dovuto cambiare città per sfuggire ai parenti. Con il nuovo compagno andava tutto bene finché la crisi economica non ha reso la vita difficile, poco lavoro e pochi soldi. Da sola ha deciso di andarsene a cercare di meglio, ha attraversato il Mali, l’Algeria fino alla Tunisia. A Tunisi lavorava e ha raggiunto una certa tranquillità; nel 2011, dopo aver scoperto di aspettare una bambina dal suo compagno, è nata Myriam.

 

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Poi un’amica le ha parlato della Libia, lì si lavora meglio e si guadagna di più, così decide di andare. Attraversa un tratto di deserto a piedi con un piccolo gruppo di migranti, in Libia viene arrestata insieme alla bambina, ma in luoghi separati. Iniziano le violenze, anche sessuali, finché non decide di scappare, non prima di riprendere la bimba con sé. Non ha soldi per partire, ma un uomo bengalese l’ha spinta sulla barca ed è riuscita a raggiungere le coste italiane.

 
Ricorda con lucidità le preghiere fatte per sopravvivere alla traversata, soprattutto per proteggere la piccola: «Io avevo fatto una scelta, lei no. Avevo messo in pericolo la sua vita». Dopo l’arrivo a Palermo nel giro di pochi giorni si ritrova a Bologna. Ha partecipato ai laboratori e Myriam è stata la protagonista-mascotte della parata.

 
Rufai invece arriva dal Ghana, ha diciassette anni, gli occhi seri e un sorriso aperto. Parla del viaggio rocambolesco fino alla Libia. Ora nel suo buon inglese ha solo parole positive ed entusiaste per l’Italia che ringrazia per l’accoglienza, Bologna ai suoi occhi è il posto più bello del mondo, è qui che vuole rimanere. Ha visto piazza Maggiore e ne è entusiasta. Anche se per il momento il suo letto è un blocco di cemento in un edificio poco accogliente nella periferia della città questa è la sua impressione. Ha il cibo, ci sono operatori che insegnano l’italiano, può uscire e questo basta, forse.

 
Tutto questo materiale indirettamente è confluito nello spettacolo finale composto di musica, percussioni, balli, coreografie, bici-velieri costruite con il legno raccolto nel cimitero delle barche di Lampedusa, immagini proiettate sui teli, mentre la gente si accodava a questa marcia di guerrieri, spose, narratori. Ospite Ascanio Celestini che ad ogni tappa ha improvvisato testi sul tema dei migranti, seguito dalle performance di questa eterogenea compagnia che ha raggiunto piazza Maggiore e intrattenuto il pubblico del cinema in piazza dopo la proiezione di Io sto con la sposa.
Anche Mario Perrotta è stato protagonista di una serata della rassegna Il mare in cortile, un ciclo di letture teatrali preparatorie alla parata.

 

 

La pratica artistica dei Cantieri Meticci è scendere dal palco e vivere fra la gente, usare il teatro per creare socialità e rapporti, conoscenza e scambio, oltre che renderlo uno strumento utile per la didattica, come l’insegnamento della lingua. Nei laboratori si sperimenta anche una forma di cittadinanza attiva in cui i gruppi di lavoro sono misti e la progettualità è partecipata. È solo il primo esperimento di un lavoro che non si ferma qui.

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