Le opere Julião Sarmento ci invitano a entrare in un gioco di enigmi enunciati e irrisolti, indicati per sottrazione e mai rivelati. Tra i maggiori artisti portoghesi, scomparso nel maggio dello scorso anno, Sarmento inizia a lavorare negli anni ’70, quando usa la fotografia per catturare, enumerare e mettere in scena situazioni ambigue e indefinite. In quegli anni si interroga sullo statuto della fotografia con sequenze di immagini che anticipano le riflessioni compiute, negli ultimi anni, da storici e critici come Joan Fontcuberta. Non segue le istanze classificatorie e archivistiche della fotografica concettuale, vuole invece sperimentare nuove forme di rappresentazione, in cui la frammentarietà e l’indeterminatezza sono per lui modus operandi e strategie di seduzione.
Fortemente influenzato dalla cultura francese e inglese, dai testi di George Bataille, Maurice Blanchot, James Joyce, Gustave Flaubert, dal cinema di Luis Bunuel, Sarmento fornisce indizi, suggerisce la direzione di uno sguardo e la possibilità di un’azione. Bataille, installazione composta da 24 fotografie che ritraggono sempre lo stesso busto femminile nudo, variando solo la zona d’ombra che lo oscura fino a farlo scomparire, è un esempio significativo del suo modo di lavorare. La perdita di visibilità del corpo, pur con la consapevolezza della sua presenza, crea un gioco ambiguo tra mostrare e sottrarre, tra sedurre e celare.

LA DIMENSIONE FRAMMENTARIA e evocativa che caratterizza il suo lavoro fotografico la sperimenta anche in ambito pittorico. Nel corso degli anni ’80 Sarmento si afferma come pittore, nel momento del «ritorno alla pittura» in Italia, Germania e Stati Uniti. Espone a due edizioni di Documenta a Kassel, nel 1982 e 1987.
La sua pittura diventa rarefatta, trattenuta, definita da segni minimali. Dipinti caratterizzati da montaggi di immagini tra le più diverse, come se si trattasse di cut-up e/o storyboard cinematografici. Composizioni polisemiche, dove immagini glamour sono accompagnate da altre che ritraggono gesti apparentemente violenti e da parole enigmatiche. Montaggi di immagini che creano un cortocircuito tra ciò che è mostrato e ciò che è invece solo evocato e nascosto, per indagare l’ambivalenza della sessualità e confondere i confini tra piacere e dolore, Eros e Thanatos.

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IL POTERE DELLO SGUARDO e l’infinita opera di esposizione e di occultamento che costituisce ogni atto del vedere, diventa una preoccupazione costante nel lavoro di Sarmento. Una «cartografia del desiderio», in cui le linee di un corpo femminile diventano gli affluenti di un fiume o assumono le forme antropomorfe di un albero, come accade nella serie di dipinti intitolati White Paintings. Opere che hanno origine nella letteratura e nel cinema, in una realtà messa in scena, che per Sarmento, è più vera della vita stessa. L’artista nel buio della sala e nella solitudine della lettura, individua la materia per i suoi dipinti. Nei White Paintings la figura femminile è rappresentata con grande discrezione, non ha mai un volto ed è quasi sempre vestita. Può essere accompagnata da un dettaglio architettonico, dal disegno di un fiore o da una mappa. Il tratto è sempre discreto, efficiente, volutamente inespressivo. Sarmento si concentra sulla forma, il profilo e la silhouette, non esagera mai, non ci dà mai più del necessario.

CON I «WHITE PAINTINGS» raggiunge il riconoscimento internazionale, nel 1997 è scelto per rappresentare il Portogallo alla 46/a Biennale di Venezia. Quattro anni dopo è di nuovo alla Biennale di Venezia con Close, videoinstallazione realizzata in collaborazione con il regista Atom Egoyan. Altrettanto significative furono le collaborazioni con il musicista Arto Lindsay con l’installazione Close, con John Baldessari e Lawrence Weiner per la videoinstallazione Drift, presentata nel 2004 al Centro Cultural de Belém di Lisbona.
Abstracto, Branco, Tóxico e Volátil è la personale al Museu Coleção Berardo di Lisbona, curata da Catherine David insieme all’artista stesso. La mostra raccoglie più di 120 opere, tra serie fotografiche, film in Super 8, dipinti, collage, disegni, sculture, ed è la prima realizzata dopo la sua scomparsa, visitabile fino al primo gennaio 2023. «Non è una retrospettiva – ha dichiarato David – ma un diario visivo che Sarmento ha ideato, consapevole di stare componendo una sorta di autobiografia. Dai lavori post-pop, alle sequenze fotografiche degli anni ’70, ai poco conosciuti Super 8, alle opere più recenti, ha utilizzato una vasta gamma di metodi e tecniche. Era generoso, amava confrontarsi con altri artisti, pur mantenendo un vocabolario conciso di temi ricorrenti, come il corpo femminile, la sessualità, la trasgressione, la memoria, la parola».