Il diciannovesimo album in studio dei Judas Priest si apre con una violenza nevrotica, quasi isterica e incontrollata, un «Panic Attack» provocato dall’overdose di informazioni e disinformazione che bombarda l’umanità dalla rete, un panico universale che può essere curato solo «disconnettendo un sistema» che rende «digitalmente, criminalmente pazzi». Peccato tuttavia che la seconda canzone di questo impressionante Invincible Shield , ovvero la velenosa The Serpent and the King, un brano che riesce ad essere insieme fantasy e politico, sia accompagnato da un videoclip davvero dozzinale realizzato con le IA generative, un paradosso quindi, e sorge spontaneo domandarsi quanto la band inglese che ha contribuito in maniera determinante all’invenzione dell’Heavy Metal sia responsabile di questa bruttura che offende una canzone invece così ispirata. Non c’è nulla di artificiale, comunque, nell’opera nuova dei Judas Priest, ma un’energia metallica travolgente nel classicismo mai inerte e appunto «invincibile» dei suoi suoni e dei suoi temi.

SI TRATTA di un album che potrebbe anche solo reggersi sulla voce incredibile, considerati i suoi 73 anni, di un Rob Halford sempre straordinario anche in «live» come sta dimostrando nella recente tournée trascorsa anche per Milano, un vero ed intoccabile «dio del metal» di quel pantheon stralunato e affascinante che regola la mistica rock di questo genere così popolare e mai pop. Il resto della band supporta ad arte i rabbiosi e melodici virtuosismi di Halford e si crea un forte rapporto biunivoco tra voce e suoni, così che ogni canzone delle undici (più le tre pregevoli bonus track dell’edizione deluxe) che compongono Invincible Shield lascia un segno definitivo, ribadisce una grandezza che risulta esaltante e confortante alimentando il mito dei Judas Priest, la loro importanza fondamentale e messianica per l’Heavy Metal e il suo pubblico globale: «le nostre masse sono unite, per sempre e per un giorno, Invincibili, non possono essere divise e nulla può ostacolarci».

TRATTANDO in maniera convinta e non pedissequa i luoghi comuni del Metal, trascorrendo dal tuono al fuoco, dall’inferno alla divinità, dai giganti ai diavoli ingannevoli senza trascurare l’acciaio e la sua simbologia, Invincible Shield è ua lavoro che sarebbe parso quasi impossibile e inattuabile fino all’esito definitivo dell’ascolto rigorosamente ad un volume altissimo, un’opera senza dubbio anacronistica ma che si autoalimenta proprio del suo glorioso anacronismo negando una tradizione intesa come palude conformista ed esaltando invece un passato inteso come biografia, estetica, filosofia, ribellione e trasgressione.