«Costretto a vivere da straniero nel suo territorio». Joyce Lussu definisce così il popolo curdo. Scopre la sua resistenza grazie al poeta turco Hikmet. Per incontrare questa esperienza raggiunge il Kurdistan iracheno. La sua biografia potrebbe cominciare in questo modo, dalla fine. La condizione di straniero, infatti, può anche essere esistenziale. Anche lei, come molti della sua generazione e formazione, si è sentita straniera nella propria terra.
Se cominciamo dalla fine, si comprende il titolo del nuovo libro che Silvia Ballestra le ha dedicato, La Sibilla (Laterza, pp. 248, euro 18). Profetica e visionaria, Joyce ha intravisto con grande anticipo che la questione della tecnologia militare pone una scelta di civiltà. Ha intuito la minaccia del disastro ambientale, dedicandogli il saggio, L’acqua del 2000 (1997), sulle orme di un altro apostolo laico dell’ambiente, Danilo Dolci. Joyce? Che nome è? Non è un nome italiano. Perciò, viene registrata a Firenze nel 1912 col nome di Gioconda Beatrice Salvadori Paleotti. Ma gli pseudonimi sono di famiglia. Suo padre Guglielmo, detto Willy, è un professore di filosofia, traduttore di Herbert Spencer. Sua madre, Giacinta Galletti di Cadilhac, detta Cynthia, è figlia di un colonnello garibaldino e della scrittrice inglese Margaret Collier.

NEL 1933 entra nella Resistenza da staffetta nelle fila di Giustizia e Libertà. Suo fratello Max, confinato a Ponza, gli consegna un messaggio per Mister Mill, nome di battaglia di Emilio Lussu. Si incontrano a Ginevra. Il fascismo è stato per Joyce Lussu il debutto nel mondo. La violenza – suo padre e suo fratello erano stati pestati – e l’oppressione – viene privata dei documenti – la spingono ad abbandonare le sicurezze e i privilegi del quieto vivere. Tornata dall’Africa nel 1938, dove si era recata col primo marito, impegnato in affari in agricoltura, Joyce vuole rivedere Mister Mill. Si ritrovano in Svizzera. Non si lasceranno più. Riusciranno a sposarsi e lei sceglierà il cognome di Emilio, tra i fondatori del Partito d’Azione, deputato dopo la Liberazione e tra i padri costituenti. Oggi giacciono nel cimitero acattolico di Roma, dove una lapide li ricorda insieme per sempre.

Silvia Ballestra ritorna dalla sua Sibilla dopo ventisei anni. Nel 1996 è uscito Joyce L. Una vita contro, nel quale il punto di contatto è il percorso di formazione. In questo nuovo racconto vengono riprese e approfondite alcune dimensioni particolari della sua vita esemplare, come l’attività di traduttrice e la scrittura poetica.

L’Europa campo di battaglia, il Mezzogiorno d’Italia, il Terzo Mondo, Joyce Lussu percorre questi scenari storici da protagonista, oltre che da testimone. Poetessa, traduttrice e partigiana. Il suo impegno politico e civile è profondamente permeato dalla sua sensibilità e dal suo sguardo. Nazim Hikmet, Agostinho Neto, Amìlcar Cabral, attraverso le sue traduzioni è stato possibile conoscere, a partire dagli anni ’70, poeti e rivoluzionari, impegnati nelle lotte di liberazione dei rispettivi popoli. La sua vicinanza a questi mondi è attiva, non è solo culturale. Incontra prigionieri, organizza campagne di mobilitazione, addirittura sostiene la fuga della moglie di Hikmet con il figlio. Sarà proprio il poeta turco a farle conoscere la questione curda e permetterle di incontrare i peshmerga nella biografia Portrait.

ANCHE LA SUA POESIA ha avuto una forza maieutica. La sua linea, infatti, si muove lungo un asse binario in cui la parola poetica ha la funzione teoretica di svelare la verità e smascherare le menzogne della storia. Ecco che Inventario delle cose certe è la sua opera poetica più matura. In una recensione su «La Critica» (1939), Benedetto Croce, ne sottolineava la spiritualità laica, capace di farsi carico del dolore, di assorbire il mondo esterno, cosicché paesaggi e scene «si sono fatte interne, si sono fuse con la sua anima». Come nella splendida chiusura della sua poesia più famosa: C’è un paio di scarpette rosse/ a Buchenwald/ quasi nuove/ perché i piedini dei bambini morti/ non consumano le suole.

Questa stessa passione lega Silvia Ballestra alla vicenda di Joyce Lussu. È il legame di una vita, di un’intera esistenza. Il libro non solo conferma che le biografie hanno una loro dignità letteraria, verità all’estero già condivisa, ma ci dona qualcosa di più. Riesce a fare venir fuori la potenza narrativa di un’esistenza rappresentativa di un’intera generazione capace di immaginare mondi nuovi oltre le macerie della storia.