Josef Myslivecek, un musicista quasi beat nel Settecento
Il personaggio Storia dimenticata del compositore boemo che divenne grande in Italia
Il personaggio Storia dimenticata del compositore boemo che divenne grande in Italia
È la storia dimenticata di Josef Myslivecek, uno dei compositori d’opera di maggior successo del XVIII secolo. Famoso e acclamato in Italia come «Il divino boemo», ma subito dimenticato e morto in povertà a Roma.
Telling the true story of the world interior monologue, (raccontando la vera storia del monologo interiore del mondo) é l’incipit che la scrittrice armena Marietta Shaginian prende in prestito da Jack Kerouac per la La storia dimenticata del divino boemo come dice il titolo del libro nell’edizione in lingua ceca del 1965 di Lidove Nakladatelstvi.
Della vita del musicista si sa ancora poco. In Italia purtroppo, dove è vissuto la gran parte del tempo, quasi niente: ci sono soltanto i documenti negli archivi di alcune istituzioni e accademie musicali. Molto è lasciato all’immaginazione anche nelle esistenti biografie, l’ultima tradotta in lingua ceca è quella del musicologo canadese Daniel Freeman. Qui, seguendo le tracce di Marietta Shaginian si può tracciare una pista immaginata sulle arie melodiche del maestro Giuseppe Myslivecek, con prologo in Boemia e finale in piazza degli Otto Cantoni a Roma.
Ispirazione e nostalgia
Il ventiseienne Myslivecek parte da Praga nel 1763 e come in una partitura piena di contrappunti con finale a Roma, arriva a Venezia. Lascia la sua città e il mulino di famiglia sull’isola di Kampa, le gite musicali sui battelli della Vltava per ritrovarsi sui barconi veneziani, dove le feste e i concerti iniziavano tardi e continuavano tutta la notte. Si dice che già due anni dopo il suo arrivo i progressi fossero tali che compose subito la sua prima opera mettendola in scena a Parma nel 1764 (Medea al Teatro Ducale), ma il trionfo arrivò qualche anno dopo al Teatro San Carlo di Napoli con il suo Bellerofonte, interpretato dalla «Cuochetta» come veniva chiamata Caterina Gabrielli e da Anton Raaff, che alla corte del Re di Napoli Ferdinando I si rappresentò nel 1967 con grande successo.
I primi anni del «Boemo» sono intensi di molti incontri: compositori, direttori di orchestra, cantanti e prime donne. Si scrive di lui sull’enciclopedia dello spettacolo: musicista chiaro ed elegante, sulla linea dell’espressività melodica della scuola italiana, Myslivecek serbò un suo modo di cadenzare derivato dai canti popolari della sua terra che affascinò e in qualche modo perfino influenzò il genio del giovane Wolfgang Amadeus Mozart.
Sembra che il «Boemo» negli anni ’60 del 700 fosse il compositore più pagato in Italia. Era molto prolifico e veloce, gli venivano commissionate sinfonie, oratori, musica da camera e i suoi lavori ricevevano il più grande plauso in tutti i teatri italiani. Molto famoso e acclamato negli ambienti musicali ma subito dimenticato, quasi censurato tanto che, come ci racconta la Shaginian, qualche settimana dopo la sua scomparsa una sua opera venisse rappresentata al Teatro Argentina senza che sul cartellone comparisse il suo nome. Anche il luogo della sua sepoltura nella chiesa di San Lorenzo in Lucina a Roma non si riesce più a trovare, la sua tomba si è perduta nei sotterranei della chiesa dove ai primi del novecento sono stati fatti dei lavori di restauro. Quello che resta oggi è soltanto una lapide appesa sul muro della navata principale della chiesa che dice «In questa basilica è stato sepolto il compositore ceco Giuseppe Misliwecek detto il boemo, amico di Mozart 9-3-1737/4-2-1781».
Poco è rimasto per descrivere gli anni di Myslivecek in Italia. Come era Roma a quei tempi? Che succedeva negli ambienti musicali romani? È ancora Marietta Shaginian che nel suo libro ripercorre i passi del musicista boemo: sembra che allora il vino scorresse a fiumi, Shaginian scrive del fatalismo romano e della spregiudicata aristocrazia vaticana, quando anche i cardinali frequentavano i bordelli e gli amici del compositore facevano orge gettando al vento scudi e ducati. Però di quel periodo non ci sono documenti concreti per raccontarne il successo, le avventure, la momentanea ricchezza e la vertiginosa carriera musicale. Forse si tratta proprio di censura e a casa di Pietro Metastasio (paroliere di ben 14 libretti delle 30 opere del Boemo) in via dei Cappellari a Campo de’ Fiori ce lo possiamo solo immaginare. In ogni caso parlano da soli i titoli delle 18 opere (originali e versioni successive con i testi di Metastasio, Bonecchi, Lucchini, Piovene e Roccaforte) conservate presso il Liceo musicale di Bologna: Ipermestra, Bellerofonte, Montezuma, Farnace, Demetrio, Il gran Tamerlano, Medea, Romolo ed Ersilia, Artaserse, Adriano in Siria, Demofoonte, Antigono, Armida, Medonte, l’Olimpiade, La Circe, La Calliroe, Ezio e La Clemenza di Tito.
Con Mozart
«Dimenticato da tutti ma non da Mozart» come scrive il New York Times è il destino del compositore, che per le invenzioni melodiche delle sue sonate negli anni 70 del settecento era chiamato Il Divino Boemo». Per un periodo Myslivecek è a Milano, a quel tempo città piena di fervori intellettuali, ma anche a Bologna insieme a Maxim Berezovskji quando partecipano alle prove per diventare titolati accademici alla famosa Accademia Filarmonica di Padre Giovanni Battista Martini. Il giovane Wolfgang Amadeus era già stato nominato Accademico Filarmonico un anno prima il 15 Maggio del 1771 a soli 15 anni, e qui probabilmente è l’aggancio che 200 anni dopo fa entrare in campo la scrittrice Marietta Shaginian che proprio a Bologna inizia la sua inchiesta.
Poi c’è Stanislav Bohadlo, musicologo e fondatore del Festival di musica barocca «Theatrum Kuks», che recentemente ha pubblicato la raccolta Josef Myslivecek nelle lettere dove si legge cosa scrivono di lui, Leopold Mozart e il giovane Amadeus, da Salisburgo, Monaco, Vienna e Manheim, quando a Bologna e Milano i tre iniziano a frequentarsi e si accende un periodo di serate piene di passione. Myslivecek ha 33 anni ed è un autore già affermato mentre Mozart è appena quindicenne. Leopold, padre del giovane Amadeus scrive del boemo in una lettera del 1770 «È un uomo d’onore e noi siamo legati a lui da una perfetta amicizia». I due musicisti si relazionano tra stima artistica e genialità, forse anche con contraddittori punti di vista, dovuti al loro diverso carattere e diversa situazione sociale, ma certamente è importante la loro relazione dal punto di vista musicale.
Un’amicizia raccontata in diverse lettere dallo stesso Wolfgang Amadeus che ammirava il Boemo e diceva di lui «Trasuda fuoco, spirito e vitalità». Come quando Josef Myslivecek conosce a Parma Lucrezia Aguiari, giovanissima e virtuosissima cantante, figlia illegittima di un nobile italiano, per questo soprannominata «La Bastardella». Gli storici raccontano avesse qualità canore eccezionali. Di lei anche il giovane Amadeus racconta in una lettera la serata in un salotto di Milano e dice con meraviglia e stupore: «Ha una bella voce, un collo aggraziato e altezze vocali incredibili». Doti e qualità che Lucrezia dimostrò mirabilmente quando cantò tre arie per i due Mozart e per Myslivecek suscitando la loro grande ammirazione. Quando qualche anno prima il Boemo arrivò a Parma, lei era appena arrivata da Firenze. Lei 21 anni e Josef 27 vivono insieme un periodo di successo musicale e passione. Lei come prima donna a teatro nel Parnaso Confuso e nella vita tra i portici della magica città di Parma e in giro per l’Italia. Marietta Shaginian racconta quel periodo con uno stile da romanzo ma per la cronaca fa uno straordinario ritrovamento nell’archivio dellAccademia di Santa Cecilia: sono gli spartiti originali della Confusione sul Parnaso, con il testo di Metasasio e 4 nomi per due violini: Apollon, Melpomene, Euterpe, Erato.
Carattere e avventura
La situazione economica di Myslivecek nonostante il successo era comunque problematica. Era sempre al lavoro ed erano ricchi i guadagni, ma il suo tenore di vita doveva essere molto alto così era spesso a corto di soldi e da qui il continuo ricorso a prestiti con relative conseguenze. Alcuni biografi lo accusano di libertinaggio ma ugualmente sembra anche essere stato così come lo definiva la Giunta dei teatri di Napoli «Persona seria e onesta che merita tutta la nostra fiducia. Non occorre tessere elogi, essendo noto al Sovrano e al Pubblico il suo valore artistico e la sua probità morale». Qualche altra traccia sul suo carattere ci arriva da un racconto che fa il Professor Prota Giurleo, storiografo della musica e critico d’arte napoletano che racconta le vicissitudini di Myslivecek durante la composizione di Romolo ed Ersilia, dei burrascosi rapporti con l’impresario del Teatro San Carlo quando, «con il contratto già firmato e l’opera già in programma a Napoli, il compositore tardava ad arrivare. Della musica per l’opera neanche una riga, così l’impresario Gaetano Santoro meditava di affidarne la stesura a Piccinini, Paisello e Insanguine, ma Cafaro consigliò di attendere il Boemo al quale sarebbe bastata una settimana per mettere in scena qualsiasi opera.
Myslivecek il 23 Luglio era ancora a Capua in attesa del passaporto che aveva dimenticato a Roma, in stato di fermo per una settimana, ma terminò l’Opera e il Prologo per la data prescritta, il 13 Agosto del 1773 incontrando l’universale aggradimento». A Napoli in quel periodo viveva da mesi presso una locanda e nonostante il successo continuavano i suoi guai. «Non poteva più pagare l’affitto visto che il soldo di tre opere era stato sequestrato e reclamato dall’alabardiere Arnold e da un altro creditor di Milano. Myslivecek stesso raccomandava il pagamento di quanto dovuto per il suo alloggio a Napoli chiedendo il dissequestro dei suoi crediti presso il San Carlo». Si racconta che durante un concertino privato per gli amici, l’irruzione nella sua stanza di una squadra di sbirri con un mandato di arresto. Lui ascoltò con calma, e dopo aver letto di nuovo il documento ne tirò fuori un altro dal taschino sul quale erano trascritti i nomi di importanti ministri del re, dignitari plenipotenziari titolati, baroni e ambasciatori, dove sotto tutte queste firme si raccomandava l’intoccabilità di Myslivecek. Così scrive il Prota Giurleo sui documenti dell’Archivio di Stato di Napoli: «Finì così come in una commedia di Goldoni il conflitto con i creditori Berti e Galiani».
Epilogo
Myslivecek scriveva poco ma è lo stesso Mozart che in una lettera al padre da Salisburgo racconta che il Boemo gli scriveva così: «in viaggio da Firenze a Monaco sono caduto dalla carrozza e all’ospedale dove sono stato ricoverato dei medici incapaci mi hanno bruciato il naso». Forse era un caso di malasanità del 700, più probabilmente era per nascondere che si trattava di sifilide. In seguito Mozart lo va a trovare all’ospedale di Monaco e in una commovente lettera a sua sorella Nannerl racconta il loro triste incontro lì nel giardino dell’ospedale. Poi è Leopold che scrive molto duramente a suo figlio ventenne, preoccupato degli sviluppi della loro amicizia e deluso da una mancata promessa di Myslivecek per procurare a Wolfgang un contratto per un concerto di Carnevale al Teatro San Carlo di Napoli: «A chi dare la colpa se non alla propria vita schifosa, una vergogna così grande davanti al mondo. Come farà quel poveraccio a presentarsi sul palcoscenico di un teatro senza il naso…» Si racconta anche della lunga storia d’amore con Caterina Gabrielli, fino a quando il 29 dicembre del 1780 a Milano tutto finisce in tristezza.
E la Shaginian nel suo libro così dettagliato di ogni particolare e contestualizzato con moltissimi riferimenti concreti e nomi di tutti i personaggi in campo aggiunge un carico pesante: così famosa ma scellerata da farsi sempre cacciare dopo un ennesimo scandalo, da Napoli e Palermo, anche da San Pietroburgo. Poi una sfortuna dopo l’altra, Myslivecek si riduce a portare sul viso una maschera di ferro per nascondere il volto deturpato. Evitato da tutti che quasi ce lo immaginiamo aggirarsi nella penombra per le viuzze vicino a via della Frezza, vicino al Teatro d’Alibert che allora si chiamava Teatro delle Dame dove nel 1780 si rappresentava il suo Antigono. I suoi amici ancora non lo abbandonano e il 30 maggio è a Napoli con la sua nuova opera Calliroe e nel 79 a Pisa e Venezia, poi di nuovo a Napoli. Correggeva i suoi quartetti che spediva ad Amsterdam per essere stampati ma ormai nessuno lo andava più a trovare. L’ultima volta a teatro dirigeva la sua opera Medonte ma i prelati si annoiavano e sui palchetti si giocava d’azzardo. La sua casa è lì al 465 di piazza Otto Cantoni a pochi metri dall’Accademia di Santa Cecilia e a due passi da piazza del Popolo. Oggi non ce n’è più traccia perché è stata demolita insieme ad altri edifici lì intorno. Shaginian però, sicuramente la prima cittadina sovietica a riuscire ad entrare negli archivi segreti del Vaticano, si è procurata la copia di una pianta stradale di allora dove si vede piazza degli Otto Cantoni.
Sono veramente poche le informazioni dirette di quel periodo ma recentemente Stanislav Bohadlo, nei suoi viaggi in Italia sulle tracce di Myslivecek è riuscito a recuperare presso l’archivio storico della polizia a Roma i verbali che elencano gli ultimi averi del musicista: un baule con poche cose e tre ricevute del Monte di Pietà dove il Divino Boemo aveva impegnato i suoi ormai pochi pregiati effetti personali. Intanto Metastasio scriveva una sua poesia «In un mar che non ha sponde, Senza remi e senza vele, Come andrò coi venti e l’onde»… ma, di nuovo Marietta Shaginian nelle ultime pagine del suo libro fa un’altra scoperta e chiude il cerchio: un manoscritto originale di una seconda versione di Medonte è finita chissà come a Leningrado. Forse è Myslivecek che l’ha spedita al suo amico Berezowsky? Oppure è stata Caterina Gabrielli che l’ha portata con sé a San Pietroburgo. Shaginian finisce il suo racconto con un altro mistero e sulla vita del Boemo, ancora oggi dimenticato dalle istituzioni musicali, come quando si continuava a suonare la sua musica senza farlo comparire sul cartellone. Niente… a parte le sue arie allegre di nostalgia con «spirito» che saltuariamente si sentono di notte su qualche radio classica in Europa. E come epigrafe finale a Roma potremmo aggiungere che il suo nome, come quello di John Keats, è scritto sull’acqua.
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