Visioni

Jonas Mekas e la scoperta dell’io in Giappone

Jonas Mekas e la scoperta dell’io in Giappone

Maboroshi Come il cinema del filmmaker ha influenzato gli autori underground del Sol Levante

Pubblicato quasi 6 anni faEdizione del 25 gennaio 2019

LA SCOMPARSA di Jonas Mekas ha avuto una forte risonanza anche qui in Giappone, specialmente negli ambienti più vicini al cinema sperimentale o d’avanguardia, quelli che nel corso della seconda metà del secolo scorso cioè si sono sviluppati anche grazie all’influenza ed all’esempio tracciato all’autore di Lost Lost Lost. Il rapporto fra la scena underground giapponese e quella americana durante gli anni sessanta, specialmente quello che succedeva a New York, con il flusso di artisti e cineasti da un paese all’altro, in verità per lo più dal Giappone verso gli Stati Uniti, è abbastanza nota.
Meno noto è forse l’impatto che i lavori di Mekas ebbero per certo modo di fare ed intendere il documentario nel Sol Levante, un documentario che trattando temi personali si intrecciava con avanguardia e poesia visiva. La proiezione di Reminiscences of a Journey to Lithuania, probabilmente fra il 1972 ed il 1973, svelò al pubblico ed ai cineasti giapponesi come anche con pochi mezzi tecnici, praticamente solo una cinepresa a mano, si potesse creare della poesia, percorrendo quel sottile confine che separa il filmato amatoriale dal diario per immagini. Il film con cui Mekas racconta il ritorno nel suo paese natale in Lituania, trovò in Giappone terreno fertile in quanto incrociò un modo espressivo, quello del romanzo narrato in prima persona, che aveva nell’arcipelago già da decenni una storia ricca e fruttuosa.

La novità fu quella di liberare una potenzialità del cinema che non era stata molto sondata prima d’ora, un cinema poetico realizzato in prima persona e quindi indipendente. Direttamente ispirati a Mekas arrivano così dalla metà degli anni settanta i film di Shiroyasu Suzuki, poeta e cameraman che specialmente con Impressions of a Sunset e 15 Days porta allo scoperto anche in Giappone questo modo «nuovo» di intendere il cinema. Il primo lavoro citato è in questo senso esemplare, il racconto di una giornata di Suzuki con la sua nuova cinepresa CineKodak 16, e della sua felicità per il nuovo mezzo che ha in mano e con cui raccoglie attimi di poesia quotidiana, per la strada, dentro il suo appartamento e fra famigliari e amici. Ma già un anno prima, nel 1974, usciva una sorta di precursore dei film diario e cinema personale, Extreme Private Eros: Love Song 1974, lavoro con cui Kazuo Hara raccontava e metteva in immagini la tempestosa relazione con la sua ex-compagna, con tanto di scena diventata culto, in cui Hara filmava con mano tremolante la nascita di suo figlio, cruda ma emotivamente straziante come poche altre nella storia della settima arte.

LA LEZIONE di Mekas per cui il privato e la poesia delle piccole cose quotidiane potevano essere messe in immagini, spesso sperimentali, sdogana così un certo modo di fare cinema anche nell’arcipelago. Un altro degli esempi più riusciti e noti anche a livello internazionale di quello che in Giappone viene definito anche come «self documentary» vede la luce agli inizi degli anni novanta. In un periodo di rinascita per il cinema del paese asiatico escono infatti Embracing e Katatsumori con cui Naomi Kawase si rivela, ancora giovanissima, al mondo. I due lavori sono dei diari in immagini che raccontano la ricerca di suo padre ed il forte rapporto che lega la giovane ragazza alla nonna che di fatto l’ha cresciuta in assenza dei genitori.
Il nuovo millennio con l’avvento del digitale ed il rimpicciolimento del mezzo tecnico accelera inevitabilmente l’evoluzione e la produzione di questo tipo di film, offrendo ancora più possibilità e di fatto trasformando chiunque in un potenziale autore, ma questa è un’altra storia.
matteo.boscarol@gmail.com

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