Jon Hendricks, le rime del jazz
Ricordi/Cento anni fa, il 28 settembre, nasceva il vocalist Usa, tra i più versatili e immaginifici di sempre. È stato un nome di riferimento del vocalese Una lunga carriera in grado di attraversare differenti ere artistiche, dallo swing al post modern passando soprattutto per il bebop
Ricordi/Cento anni fa, il 28 settembre, nasceva il vocalist Usa, tra i più versatili e immaginifici di sempre. È stato un nome di riferimento del vocalese Una lunga carriera in grado di attraversare differenti ere artistiche, dallo swing al post modern passando soprattutto per il bebop
Il prossimo 28 settembre cade il centenario della nascita di Jon Hendricks (nato nel 1921 a Newark, New Jersey, come John Carl), il massimo rappresentante dello stile vocalese, che, nell’ambito della storia del jazz, rappresenta un unicum, nonché un caso rarissimo di metalinguaggio musicale, impossibile da replicare in altri contesti sonori. La vita di Hendricks s’intreccia, fin da subito, con la nuova tecnica canora, che egli stesso, ragazzino di Toledo (Ohio), dove si era trasferito al seguito del padre, mette a punto, forse senza prevedere gli effetti sulla ribalta internazionale nella seconda metà del XX Secolo. Jon vanta una lunga carriera che potrebbe definirsi tranquilla e costante, in grado di attraversare differenti ere artistiche, dallo swing al post modern, passando soprattutto dentro il bebop: un cammino immortalato da 27 album a nome proprio (più altri 25 da ospite) che egli percorre senza alti e bassi, maturando però il completo riconoscimento del proprio contributo musicale, soltanto da anziano, grazie alla seconda ondata (tuttora in corso) del vocalese medesimo.
In mezzo a un’esperienza professionale coerente, emerge soltanto un episodio – quasi alla stregua di corpo estraneo – in grado di spezzare, drammaticamente, il vissuto di un’esistenza fino ad allora al riparo dalle angherie subite dal popolo afroamericano (compresi molti jazzisti). È il giugno 1944 e il soldato Hendricks sbarca, assieme a centinaia di commilitoni neri, lungo la costa della Normandia per il D-Day; giunge con il quarto approdo dagli Stati Uniti, subendo minori perdite di vite umani rispetto ai primi, falcidiati dai nazisti. Jon è destinato al quartier generale statunitense in Francia; lontano dal fronte, assieme ad altre reclute, cerca di stringere amicizia con la popolazione locale, in un contesto difficile soprattutto all’interno delle caserme, dove tra bianchi e neri vige un netto apartheid, con punte di feroce razzismo dei primi sui secondi. Pizzicato una sera in compagnia di ragazze francesi dagli MP (Military Police, bianchi, ovviamente), per paura di ritorsioni, fugge con un camion carico di rifornimenti militari, peggiorando di brutto la propria situazione, dopo essere riacciuffato dagli stessi poliziotti. Hendricks finisce davanti alla corte marziale nel novembre 1945, in un processo che si conclude con una condanna che, per sua fortuna, durerà solo 11 mesi: da un lato la fine della guerra, dall’altro l’iscrizione alla facoltà di giurisprudenza, risultano valide attenuanti nel ridurre la pena per consentirgli di riprendere gli studi (e la carriera musicale iniziata a soli 11 anni nel 1938).
CONTATTI
I momenti principali della ottantennale attività artistica sono perlopiù costellati dagli incontri con alcuni maestri del jazz; addirittura si può ricostruire la storia di Jon dal punto di vista musicale, osservando via via l’effetto dei numerosi contatti, a cominciare dal vicino di casa Art Tatum, che ne apprezza le qualità vocali, accompagnandolo al pianoforte in privato, sino a favorirne il debutto, nei localini di Toledo, dove risiede con la famiglia. Dopo Tatum, sono persino Fats Waller e Ted Lewis a volerlo con sé in tournée, ma il giovanissimo Hendricks preferisce formare un vocal group, gli Swing Buddies, con i quali si esibisce nelle radio locali, guadagnando quel tanto che basta per mantenere genitori e fratelli. Dopo la guerra e il matrimonio con Judith Moore – da cui avrà quattro figli, comprese Aria e Michele anch’esse bravissime cantanti – e dopo alcuni ingaggi come batterista, una notte del 1950 si esibisce in jam session, sempre a Toledo, con Charlie Parker, stupito e pronto a invitarlo subito a New York. Due anni dopo, lasciata la professione forense, Jon, con moglie e prole, si trasferisce nella Grande Mela, decidendo di continuare esclusivamente nel mondo delle sette note: scrive brani per Louis Jordan (antesignano del rock’n’roll), lavora con il già affermato cantante King Pleasure (da tutti ritenuto il primo vero esponente vocalese) e, dulcis in fundo, incontra Count Basie; ma non lo vede di persona, almeno per un po’, bensì ne coglie l’essenza musicale per un lavoro rivoluzionario che farà epoca: Sing a Song of Basie (1957) è l’album di debutto del trio LH&R, ossia Dave Lambert (1917-1966), Hendricks e Annie Ross (1930-2020), in assoluto il miglior gruppo di canto jazz e il maggior rappresentante dell’ormai maturo vocalese.
È lo stesso Jon a ricordare in un’intervista del 2010 a Musica Jazz come viene creato il Lambert Hendricks & Ross Trio, partendo dall’invito di Lambert a ospitarlo nel proprio appartamento dopo il divorzio di entrambi dalle rispettive consorti: «Cominciammo a lavorare sull’idea di trattare in vocalese la musica di Count Basie. Fu lui a propormi di scrivere le parti cantate per dieci brani del Conte, che Dave avrebbe poi arrangiato. Dovevamo trovare una ragazza che fosse in grado di cantare con noi. Andammo dalla Decca, che era a quel tempo un’ottima casa discografica. Ci andammo a piedi perché non avevamo nemmeno i soldi per la metropolitana e fra noi e la Decca c’era da fare mezza Manhattan! Milt Gabler ci disse che i pezzi erano belli ma che non c’era mercato per quella roba. Dopo varie vicissitudini fu Creed Taylor a credere in noi».
E la ragazza arriva per caso grazie a un amico che la presenta loro a una festa: «Annie veniva dall’Inghilterra. Aveva già nel suo repertorio Farmer’s Market e Twisted, quindi si era creata una solida reputazione in campo jazzistico. Per farla breve, il giorno seguente la facemmo venire in studio e lei si innamorò immediatamente del progetto. Il lavoro durò in totale ben tre mesi. Dave era esausto e Creed, con i costi saliti alle stelle, era quasi in preda a un attacco isterico! Facemmo tutto in sovraincisione con tre voci e il risultato fu magnifico. Così nacquero sia il disco Sing a Song of Basie sia il trio LH&R. Era il 1957. Il successo fu immediato. Non riuscivo nemmeno a immaginare che potessimo essere pagati, e bene, fin dal nostro primo concerto. Solo qualche mese prima io e Dave cantavamo praticamente gratis!».
FENOMENO POPULAR
Da allora per almeno sette intense annate – compreso l’avvicendamento della giovane cingalese Yolande Bavan – il terzetto diventa un fenomeno quasi popular, con notevoli positive ripercussioni anche in molti altri paesi, soprattutto europei, dove, in loco, nascono autentiche scuole nazionali di ensemble vocalese. Tuttavia con l’incalzare del rock, del soul, della bossa nova, del free jazz e di molte altre tendenze, e soprattutto con il ritiro della Ross per un malanno e la scomparsa di Lambert in un incidente stradale, il trio si scioglie e di conseguenza l’intero stile poco a poco tramonta, salvo rinascere un ventennio dopo con il quartetto Manhattan Transfer, in grado di semplificare e divulgare il vocalese con gusto pop, mescolandolo a linguaggi accessibili come lo swing, il mainstream, il funky, la classica song.
Jon, dal canto suo, prosegue in sordina l’attività di cantante, dedicandosi però, con successo, a iniziative affini: ad esempio tra il 1968 e il 1973, abbandonando polemicamente gli Stati Uniti, per stabilirsi a Londra, onde fornire una migliore educazione scolastica ai propri figli, continua a scrivere canzoni, a compiere tournée (in Europa e in Africa), ad apparire regolarmente sulla Bbc, a diventare attore in un paio di film sul jazz. Tornato negli States, per oltre vent’anni, risiede a Los Angeles, dove esercita le attività di critico jazz, di docente universitario, di drammaturgo sui generis, grazie a una commedia sulla storia della musica afroamericana, Evolution of the Blues, che resterà ben sei anni filati in cartellone sulla West Coast.
Dopo qualche ottimo lp, assai ben accolto da giornalisti e studiosi, ma con un mercato ormai di nicchia, Hendricks preferisce vivere di insegnamento e di composizione. Tuttavia, nel 2000, con il ritorno a Toledo, città natale, per lui c’è come una seconda giovinezza, tanto dal punto di vista accademico – cattedra e laurea honoris causa nel locale ateneo e primo jazzman a tenere conferenze alla Sorbona di Parigi – quanto in una prospettiva artistica con la creazione del gruppo Four Brothers assieme ai più giovani Mark Murphy, Kurt Elling, Kevin Mahogany e con la propria Jon Hendricks Vocalstra di ben 15 voci.
Dopo qualche incontro ravvicinato con importanti colleghi fino al 2016, ad esempio accanto alla rivelazione ventitreenne Jazzmeia Horn, muore all’improvviso all’età di 96 anni il 22 novembre 2017 a New York, mentre sta lavorando a versificare l’album Miles Ahead (1958), capolavoro di Miles Davis con gli arrangiamenti di Gil Evans.
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