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Jon Fosse, voci dall’inverno delle relazioni

Jon Fosse, voci dall’inverno delle relazioniUn dipinto di Lars Hertervig, 1865

Scrittori norvegesi La messa in scena dei suoi drammi teatrali gli ha dato la fama molto prima dei romanzi degli ultimi anni. Esce ora da Cuepress, che avvia una serie di volumi dedicata al Fosse drammaturgo, «Teatro»: raccolta di tre pièce

Pubblicato 11 mesi faEdizione del 3 dicembre 2023

In Italia, ma forse anche in buona parte del mondo, Jon Fosse era stato conosciuto per molto tempo soprattutto come drammaturgo. Giusto vent’anni fa, quando Valter Malosti, con Michela Cescon, presentarono, quasi con discrezione, ad Astiteatro (e in altri teatri che accettarono «la scommessa» di un nome allora sconosciuto) il primo testo di Jon Fosse, scoprimmo un tessuto di parole, quotidiane e all’apparenza svagate, che ci facevano sentire in scena un Inverno capace di raccontarci molto, dei due protagonisti, ma anche di noi. Abituati del resto a pensare che dopo i grandi drammaturghi di inizio Novecento, e il lavoro di altissima classe di Ingmar Bergman al Reale Dramaten di Stoccolma, non ci potesse giungere dai freddi scandinavi altro tipo di rappresentazione teatrale, fu un felice spiazzamento quello che Fosse ci provocò. Perché con quella precisione, solo a prima vista distaccata, il drammaturgo pungeva in realtà il nervo scoperto dei rapporti tra le persone, a partire da quelli fondanti dalla coppia. Dice oggi di aver «odiato il teatro», ma riconosce di dovergli la fama.

Altri suoi testi sono stati tradotti negli anni (da Editoria & Spettacolo e da Titivillus), ma ora Cuepress fa uscire un suo volume di Teatro (pp. 144, euro 23,00) promettendo la pubblicazione di altri. Tre i titoli: E non ci separeremo mai, Qualcuno verrà, Il nome, con un appunto introduttivo di Vanda Monaco Westerstahl, che firma anche le traduzioni. Titoli diversi, ma accomunati dalla messa a nudo della vita di ogni personaggio attraverso il suo io narrante, la rapidità del pensiero e insieme la concretezza che dà corpo a gesti e sentimenti.

Il parlato dei personaggi è sciolto, e a tratti sospeso: quasi una ricognizione del mondo, che contiene scelte, implicazioni, rapporti. Intrecciati con apparente nonchalance, rispetto a valori e funzioni, che invece quelle stesse parole contengono e celano. Rispetto alla corrente retorica, non rispetto a vite e percorsi dei personaggi. Un principio di scrittura che se può trovare un’assonanza (non certo una parentela) è forse con certi testi di Harold Pinter, anche lui premio Nobel, nel 2008, per la letteratura, che per entrambi sarebbe forse più giusto definire letteralmente «scrittura». Ovvero concreta fisicità della parola, che non dà solo corpo ai personaggi, ma con un certo self control (e solo apparente svagatezza) fa scaturire in loro, e nei loro gesti, senso e vita.

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