Anna-Eva Bergman, «N°12-1967, Grand Finnmark Rouge»
Alias Domenica

Jon Fosse, paesaggi interiori con sdoppiamento in forma dialogica

Anna-Eva Bergman, «N°12-1967, Grand Finnmark Rouge»

Drammaturghi norvegesi Il minimalismo linguistico, della trama, dei personaggi e delle scenografie insegue significati narrativi trascendenti, mentre l’ironia vela l’impianto psicoanalitico della pièce: «La ragazza sul divano», del 2002, in una nuova traduzione da Einaudi

Pubblicato 7 mesi faEdizione del 31 marzo 2024

Bastano pochi elementi a Jon Fosse per creare mondi all’interno di altri mondi. Quando per esempio il drammaturgo norvegese ci invita a entrare nel salotto di La ragazza sul divano (Einaudi, ritradotto, dopo una prima uscita per Editoria e Spettacolo, nel 2007, da  Graziella Perin, pp. 88, € 10,00) ci guida in una eterotopia, dove spazi e tempi distanti tra loro, presenti, passati e futuri,  convivono e co-accadono. Il minimalismo tipico di Fosse – linguistico, della trama, dei personaggi e delle scenografie del suo teatro – si sviluppa per sottrazione, facendo  sì che i pochi elementi di scena assumano significati e valori narrativi trascendentali.

Messa in scena per la prima volta al Festival Internazionale di Edimburgo nel 2002, La ragazza sul divano non fa eccezione: al centro della scena, una grande stanza aperta delimitata da pannelli mobili,  dove una donna senza nome e di mezza età osserva un dipinto non terminato, che ritrae una giovane ragazza, nuda e sdraiata su un divano, con le gambe raccolte. Insoddisfatta dalle sue doti artistiche, la donna ritocca il dipinto e, nell’istante in cui il pennello sfiora la tela, la giovane ragazza ritratta entra nel salotto e si distende sul divano. Com’è ovvio, la pittrice e la giovane ragazza sono la stessa persona in momenti diversi della loro vita. Attraverso il suo tipico stile fatto di battute brevi, numerose ripetizioni, contraddizioni e pause parlanti, Jon Fosse crea un intenso paesaggio interiore che si delinea tramite un monologo corale in cui, alla voce della protagonista, si avvicendano quelle degli altri (pochi) personaggi: la madre, il padre, la sorella e lo zio.

Dialogando senza parlarsi davvero, i personaggi ricostruiscono frammenti e istanti della vita della protagonista: un evento chiave le ha lasciato la sua impronta profonda, ed è il tradimento della madre ai danni del padre, marinaio costantemente in viaggio, che abbandonato il marito ha cominciato  una nuova vita a fianco dello zio.

Impossibile dimenticarlo, afferma la protagonista: «Perché succede. Perché si vede una cosa e poi non si riesce più a scordarla». La giovane sul divano e la donna adulta diventano rispettivamente rappresentazioni archetipiche di una radiosa speranza nel futuro, e di un’ombrosa rassegnazione quando si guarda al proprio passato, pensando a tutto ciò che si è perso. Questo sdoppiamento è evidente nell’avvicendarsi di battute all’apparenza contraddittorie, dove l’incapacità di creare una realtà che sia altra da quella in cui si è immersi, diventa metafora di una inettitudine nello stare al mondo.

Pervaso dall’ironia e con un forte impianto psicoanalitico, il nucleo de La ragazza sul divano sta nella esplorazione delle ferite dell’infanzia, che persistono nel tempo senza mai rimarginarsi completamente. La giovane protagonista è lacerata da una serie di delusioni e di necessità non soddisfatte in ambito famigliare: soffre la mancanza di un padre spesso lontano per lavoro, nutre un forte disgusto nei confronti della madre a causa della relazione avviata con lo zio, e al contempo prova sia invidia che risentimento nei confronti della sua appariscente e provocante sorella maggiore.

Anna-Eva Bergman, «N°12-1967, Grand Finnmark Rouge»
Anna-Eva Bergman, «N°12-1967, Grand Finnmark Rouge»

Molti gli elementi tipici dello stile di Jon Fosse. La pittrice ci riporta ad Asle e Lars, protagonisti rispettivamente dei romanzi Settologia e Melancholia, mentre il tema del doppio è estremamente caro sia alla prosa sia ai drammi più famosi di Fosse, per esempio Io sono il vento, in cui l’uso magistrale del monologo corale mette in scena un’intensa rappresentazione della lotta tra la vita e la morte.

Quanto allo sfondo minimalista, funziona a creare uno spazio tangibile, che amplifica l’espressione scenica e letteraria. Gli ambienti scelti da Jon Fosse sono solitamente luoghi semplici: stanze d’albergo, vecchie case, fermate dell’autobus, finestre che si affacciano sul mare, una piccola barca isolata al centro di un vasto oceano. Carichi di simbolismo,  questi luoghi sono spesso descritti in modo sommario e poco dettagliato, contribuendo così a rafforzare il potenziale poetico del linguaggio drammatico.

Come spesso accade nelle opere dell’autore norvegese, oltre alla decostruzione dello spazio, anche il piano temporale non viene distende linearmente, appare quasi circolare, privo di un inizio o una fine, senza un prima o un dopo: passato e presente non stanno più in una opposizione dialogica, si fanno e si disfano tramite una sapiente costruzione dei dialoghi, che si alternano e si intrecciano sfocando la naturale progressione temporale. L’utilizzo quasi ossessivo della ripetizione e l’attenzione alla musicalità e al ritmo della lingua donano allo stile di Jon Fosse una sfumatura sacrale, quasi un  mantra che si espande in motivi concentrici, mentre la sua drammaturgia ironica e paradossale contribuisce a coinvolgere chi legge (o osserva) in un crescendo di suspense intorno all’evoluzione e al denoument della storia. Le supposizioni sulla vera natura dei personaggi e sulla loro condizione vengono ripetutamente indebolite, e ciò che superficialmente appare logico è messo in dubbio a un livello più profondo.

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