Visioni

John Sayles, un tipo molto indipendente

John Sayles, un tipo molto indipendenteJohn Sayles con il collaboratore Chris Cooper

Intervista Il regista americano parla del nuovo film Go for Sisters, il rapporto con la tv e le trasformazioni in atto a Hollywood

Pubblicato più di 11 anni faEdizione del 10 aprile 2013

Incontriamo John Sayles, gigante (alto più di due metri) dal viso aperto, appena un po’ appesantito dai suoi 60 anni, negli uffici della sua casa di produzione, l’Anarchists Convention. Il regista americano, «l’indipendente» per eccellenza, ha pronto un nuovo film, Go for Sisters, con un cast prevalentemente di colore, oltre a Ed Olmos (Miami Vice, Dexter, nomination per Stand and Deliver).
Dopo le fatiche di «Amigo» (2010), girato nelle Filippine, ma distribuito in modo irregolare, un nuovo film…

Go for Sisters è la storia di Bernice e Fontayne, che da ragazzine erano cosi amiche che sarebbero potute passare per sorelle (‘go for sisters’). Si perdono di vista per vent’anni dopo la scuola, ma si ritrovano quando Bernice viene nominata parole officer di Fontayne, che è appena uscita di prigione e sta lottando per smettere di drogarsi.

Leggo sul sito che si parla anche della frontiera col Messico e di bambini desaparecidos. Come si riesce a produrre un film così scomodo in un momento così difficile per il cinema indipendente?

Ho scritto il film tenendo presente l’ammontare del mio conto in banca – è stato fatto per meno di un milione di dollari (quindi si qualifica come film a basso costo per i sindacati di registi e attori, la DGA (Directors Guild of America) e la SAG (Screen Actors Guild), e per i sindacati delle maestranze) ed è stato girato in 4 settimane, in digitale (con la Alexa). Ci sono solo tre personaggi principali; tutti gli altri sono «attori a giornata» che incontrano lungo la via, trattandosi di un road movie. Molto dell’impeto a fare questo film sta proprio in questi tre attori con cui desideravo da tanto lavorare: Yolonda Ross, LisaGay Hamilton and Edward James Olmos.

Una lavorazione breve con pochi e bravi attori, sceneggiatura, regia, montaggio tutto a firma Sayles, e autoproduzione: non è molto diversa dai film precedenti, ma certo è cambiato il mondo del cinema indipendente americano…

Non c’è più il cinema indipendente come quello degli anni ‘80 e ‘90. Si fanno ancora dei film fuori dal sistema hollywoodiano e alcuni trovano anche una distribuzione, ma è raro che uno di questi film venga proiettato per più di una o due settimane in una grande città. Anche se si può far vedere un film su web, questa forma di distribuzione non ha avuto ancora una «monetizzazione» tale da pagare un regista in modo sufficiente da permettergli di fare un altro film. Poiché negli Stati uniti non ci sono fondi statali per fare film, la maggior parte dei film indipendenti viene fatta da registi al primo o secondo film, che utilizzano una troupe sottopagata o di volontari. Nel momento in cui cerchi di rendere ’professionale’ il lavoro con personale o attori sindacalizzati, il budget inizia a salire e diventa più alto di quanto la maggior parte della gente possa tirare fuori dalle proprie tasche. Da quasi dieci anni nessuno dei miei film ha avuto una distribuzione regolare, anche se ne ho fatti tre; ho dovuto trovare i soldi per girarli e un budget per la distribuzione, scrivendo un sacco di sceneggiature per altri registi o per la tv. Ma la maggior parte dei filmmakers non sono così fortunati da avere un lavoro che ti dà da vivere e che paga così bene (e la gran parte degli sceneggiatori non lavora così spesso e in fretta come faccio io…). Il problema chiave, un po’ ovunque, sembra essere sempre comunque quello della distribuzione…
Se potessimo far vedere i nostri film a tutti quelli che avrebbero voglia di vederli e ricevere indietro anche solo pochi dollari da ciascuno, non ci sarebbero problemi. Ma il costo del marketing di un film e la concorrenza per attrarre l’attenzione della gente sono così grandi che un film indipendente è più marginalizzato di dieci anni fa.

Le nuove tecnologie non sono un aiuto per il filmmaker indipendente?

Il digitale ha due lati della medaglia. La qualità dell’immagine è diventata migliore e permette di girare in modo più economico, ma ciò fa sì che ancora più film entrino nel mercato, e così i distributori possono chiederti un film praticamente pagandoti niente…

Ma la televisione di oggi non apre forse strade diverse?

Infatti. Molto del miglior prodotto per un pubblico adulto si trova nei formati lunghi della televisione via cavo o satellite. Non c’è la censura federale [ovvero della Fcc, l’autorità televisiva] né quella degli sponsor che abbiamo nella tv delle network (infatti le tv via cavo cercano materiale trasgressivo)) e molti buoni attori che non riescono a trovare lavoro nel cinema commercial, sono lieti di lavorare sul piccolo schermo. Io ho scritto per alcune di queste serie o per film tv. Se me lo chiedessero prenderei in seria considerazione l’idea di dirigere una serie o un film per la tv.

È cambiato quindi anche il lavoro dello sceneggiatore…

Il più grosso cambiamento nello scrivere per altre persone è che vogliono che tu gli dica la storia in dettaglio prima ancora di impegnarsi a pagarti per scriverla. Questo significa che tu lavori senza nessuna garanzia di venire pagato… Ho fatto dei ‘pitches’ (proposte) per progetti che poi ho scoperto in seguito non erano pensati davvero per me – i produttori volevano soltanto sentire come l’avrei fatto io e prendevano appunti. Mi aiuta il fatto che sono stato un attore e che ho cercato di piazzare le mie storie proponendole a voce per 35 anni – gli scrittori che non sono così bravi a raccontare le loro storie seduta stante, rimangono fregati». Attori come Chris Cooper, David Strathairn, Mary Steenbrugen sono suoi amici personali. D’altro canto Sayles, agli esordi attore, è considerato un «regista di attori», uno che sa estrarre le migliori interpretazioni da alcuni di loro e che spesso li ha lanciati. Parliamo degli attori oggi. « Molti degli attori che non sono delle star che io conosco, e hanno più di quarant’anni, stanno lasciando il mestiere o si trovano lavori stabili che non hanno a che vedere con la recitazione, per sopravvivere. Se non sei un attore di grido vieni pagato una miseria…

Questi cambiamenti nel prodotto cinematografico oggi sono legati anche alla mutazione del profilo demografico e antropologico del pubblico.

È così. L’altro grande cambiamento che ho notato riguarda il pubblico giovanile. I ragazzi sono abituati al multi-task (magari mandano messaggi mentre guardano un film) e rispondono più allo stimolo che al racconto. Molti film non hanno più una colonna sonora da film d’azione, ma una musica tipo heavy-metal, e sono pieni di panoramiche superveloci con la macchina a mano, o di snap-ins e outs (entrate e uscite) prima dei tagli di montaggio – espedienti non necessari per raccontare la storia, ma che danno un’illusione di energia. I pubblici più giovani sono anche più abituati a storie interattive – molti di loro sono giocatori di videogames prima che spettatori cinematografici – e si annoiano se non hanno un pannello di controllo da maneggiare o se non hanno il controllo della direzione della storia.

Per concludere?

Rimane da vedere a che cosa tutto ciò può portare – il racconto cinematografico è un linguaggio in continua evoluzione, come del resto l’economia del cinema». Realista con una vena di amarezza, Sayles non è però un nostalgico e non ha perso la voglia di sperimentare, anche se ha dovuto tornare a tirar fuori i soldi di tasca sua per fare i film in cui crede, come questo Go for Sisters, saldo com’è nei suoi convincimenti e forte della sua capacità di vendere a Hollywood (e alla tv) la sua abile penna di narratore. Scrivere è comunque la sua via d’uscita naturale; mi fa dono infatti del suo ultimo romanzo (mille e più pagine), A Moment on the Sun, ambientato a Cuba, nelle Filippine e in America, durante la guerra ispano-americana – un romanzo al posto del film in costume che avrebbe voluto girare, ma che oggi è proprio impossibile fare, per un indipendente.

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