John Landis ha sempre magnifiche camicie, un sorriso irresistibile e una passione divertita quando parla di cinema che non è mai scontata. Il regista di Blues Brothers (1980) – che chiuderà il festival in Piazza Maggiore il 3 luglio, i cui protagonisti intanto hanno accompagnato gli accreditati sulle tessere– è arrivato ospite oltreche del Cinema ritrovato anche dell’International Filmmaking Academy, per il quale coordina un progetto con venti giovani registi di tutto il mondo che sotto la sua guida realizzeranno ciascuno un cortometraggio in vari luoghi di Bologna. Insieme a Landis c’è Deborah Nadoolman Landis, sua moglie e grande costumista – tra gli altri proprio per Blues Brothers, che insieme a Landis ricorda il lavoro del film, la ricerca dei Ray-Ban di Belushi e di Dan Aykroyd (che era anche tra gli autori della sceneggiatura), un modello andato allora fuori produzione che tutti volevano – «Ne avevamo poche paia e Belushi continuava a perderli, ogni volta che guardava una ragazza li appoggiava da qualche parte e li lasciava lì».
Era il 1980, più di quarant’anni fa, Jake Blues/Belushi gridava: «Io li odio i nazisti dell’Illinois», una dichiarazione che nell’America di oggi sempre più divisa, con un (ex) presidente che potrebbe essere coinvolto nell’attacco al Campidoglio e la cancellazione della legge sull’aborto risuona molto attuale. «I nazisti dell’Illinois non li ho inventati io, esisteva davvero un partito nazista in Illinois. È il problema dell’America che in qualche modo spiega anche la sentenza sull’aborto. C’è un’idea della libertà portata agli estremi, ci sono mille partiti – dai cowboys al fronte nazionale a tutte le sfumature della sinistra – e anche se i Blues Brothers sono stati girati molti anni fa ci sono ancora queste forze di destra che si agitano. Tutti sanno che il giudice della Corte superma , Clarence Thomas è un fascista… L’ex presidente Trump ha aperto il vaso di Pandora e liberato quanto si agitava già da tempo strumentalizzando insieme alla destra cristiana il disagio del Paese».

TRA RICORDI, aneddoti e storie, Landis potrebbe andare avanti all’infinito in quello che è il racconto di un’altra Hollywood. E oggi, che registi come lui non riescono più a fare film mentre la pandemia ha accelerato il processo di sparizione delle sale? «Gli studios vivono una fase di crisi e di cambiamenti, le piattaforme hanno imposto sempre di più le loro condizioni ma si deve stare attenti, siamo nello show-business dove non esistono i mecenati, o meglio quando si presentano sono sempre una trappola.Accadeva anche in passato, cosa cercavano i grandi mecenati negli artisti? Un talento che li consegnasse alla storia, che rafforzasse il loro potere. A Hollywood ciò che conta è ildenaro, i film ormai si fanno per questo, e si punta su quei prodotti che funzionano come le serie Marvel o Top Gun che ha incassato moltissimo a scapito di opere forse meno sicure economicamente, che non garantiscono questi stessi risultati. Invece per quel che riguarda la sala sono convinto che per il pubblico la cosa più importante è tornare a essere insieme, a condividere le emozioni, deve riabituarsi a tornare in sala. Un film si può vedere ovunque, sul telefono o sul computer ma quando si vede in sala funziona meglio: una commedia si ride di più, con un film horror si ha più paura. Il cinema è un po’ come le storie degli sciamani che si dicevano davanti a un fuoco, che qui diventa la luce proiettata dallo schermo».

A CHI GLI CHIEDE se dei Blues Brothers, film ormai leggendario vorrebbe cambiare qualcosa risponde: «Le scene di ballo, volevo dare un’impressione di un modo di danzare non troppo studiato però quando le ho riviste al montaggio mi sono detto che erano davvero un disastro». E a chi se tra i suoi film ce ne è uno che preferisce che li ama tutti naturalmente ma quello che gli piace più rivedere è I Tres amigos (1986). Il motivo? La libertà produttiva con cui lo ha girato e: «Mi piace tantissimo come gli attori (Steve Martin, Chavy Chase, Martin Short, ndr) si impegnano in una comicità così stupida, il più assurda possibile».