John Carpenter: «Quel gran genio di Romero»
Cinema Un'intervista del 2001 in cui parla del regista scomparso domenica notte, in occasione della retrospettiva completa che Torinofilmfestival dedicò quell'anno all'autore de «La notte dei morti viventi»
Cinema Un'intervista del 2001 in cui parla del regista scomparso domenica notte, in occasione della retrospettiva completa che Torinofilmfestival dedicò quell'anno all'autore de «La notte dei morti viventi»
A seguire una parte dell’intervista di Giulia D’Agnolo Vallan a John Carpenter, inserita nel volume «George Romero» (edizioni Torino film festival, 2001), in occasione della prima retrospettiva completa dedicata al regista scomparso domenica notte.
Hai scritto che Night of the Living Dead, insieme a Psycho ha sottratto il genere horror all’abbraccio mortale del romanticismo gotico…
Tradizionalmente i film dell’orrore, soprattutto quelli muti e poi fino agli anni ’40 ’50, erano rimasti fermi a Frankenstein, Dracula e la Mummia. Si trattava di vecchi miti (…) Poi improvvisamente, nel 1960, arriva Psycho, una rielaborazione della storia di Ed Green, girata in bianco e nero, con cose feroci e terrificanti che non avevamo mai visto prima (…). Nove anni dopo ecco George e Night of the Living Dead. La sua ispirazione veniva da I Am Legend di Matheson, dall’idea di un mondo pieno di vampiri. Ma invece di utilizzare i vampiri, George inventò un (nuovo) mito: i morti che camminano, che tornano in vita per nutrirsi della carne dei vivi. Girò in uno stile semi-documentario e lui… non so, trasformò tutto. Si allontanò molto, molto dal feeling gotico, verso una dimensione completamente nuova. Per anni si può sentire l’influenza di George. Ancor oggi… prendi, la nuova generazione di videogame: ce ne sono molti bellissimi basati su Night (…)
Perché pensi che il morto che cammina sia un’immagine così indelebile?
Perché sono noi. Perché sono noi, ma si comportano in modo differente, non so… Sono noi, ma agiscono in modo strano. Sono affamati come noi. Sono confusi, sono smarriti. Girovagano in gruppi… È una piccola, bellissima parabola. Fa ridere, ma presa letteralmente – come penso abbia fatto la maggior degli spettatori – è l’idea di cadaveri che si svegliano, si animano, camminano e cercano di mangiare la sua carne… Un’idea grandiosa! Audace, per i suoi tempi, profondamente terrificante. Ma le cose cambiano in fretta e se, nel 1968 Night… era il solo film terrificante sugli schermi, sei o sette anni più tardi era già arrivato in televisione: i tempi avevano raggiunto George, e i suoi morti viventi non erano più così spaventosi come lo potevano essere nel 1968. (…)
Cosa ti piace dello stile dei suoi film?
Beh, la sensibilita dei dead che e molto particolare soprattutto… quei film hanno una sensibilità molto particolare. Prima di tutto in Night, e poi di nuovo in Dawn, che sono probabilmente i migliori della trilogia, anche se non sono un fan di Day e mi piace davvero molto lo zombi Bub – George fa piccole cose molto bene, piccoli movimenti di macchina. Night ha feeling da macchina davvero interessante. Ricordo un’inquadratura in cui la cinepresa si inclina, avvicinandosi a una pompa di benzina, un movimento realizzato a mano, da vero maestro. Mi ha fatto pensare a Touch of Evil, la scena in cui Orson Welles uccide Akim Tamiroff. È solo un angolo inclinato, tutto lì. Ma io non sono mai stato tanto bravo in cose del genere. Immagino di essere un grande ammiratore dello stile di George. E in Dawn of the Dead, l’assedio del condominio, quando arrivano di sotto e vedono quella camera piena di zombi disgustosi… George ha un modo di sbatterti roba così dritta in faccia. (….). Tra i suoi film mi piace anche Knightriders, c’è qualcosa del codice di George , del suo codice di comportamento e del suo codice umano. È il film che lo ha consacrato come uno dei grandissimi registi moderni.
Il rapporto di George con la paura è molto diverso dal tuo. Cosa trovi pauroso nei suoi film?
Devo ritornare al 1968 quando vidi Night per la prima volta: adesso guardo i film con occhi un po’ diversi. Ma quando ero più giovane, l’idea portante di Night, che tutto il mondo fosse improvvisamente, cambiato, che quello che conosciamo si fosse trasformato in una nuova realtà, era incredibile e agghiacciante. Era terrificante come qualsiasi altra cosa tu dessi per scontata, il terreno ti franava sotto i piedi. Anche il suo uso dei tempi nelle scene d’azione è molto interessante e molto diverso dal mio. George non ha cose che esplodono dal nulla o dall’oscurità, nei suoi film la minaccia non si nasconde nel buio. Avanza verso di te, puoi vederla: ed è così che la affronti. È proprio davanti a te. (…)
In un testo che mi hai mandato tempo fa hai scritto di aver rubato molto dai film di George: cosa in particolare?
Piccoli momenti stilistici, di tanto in tanto. Poi un’idea. in Night ci sono un paio di inquadrature dei «morti viventi» che camminano in un campo, ripresi da lontano. L’ho usato in Assault on Precint 13. (…)
Stavo pensando a Escape from L.A. e a quella fine così bella e nichilista, in cui Plissken ci fa tornare tutti all’età del fuoco. (…) In Day of the Dead, la conclusione è analoga: per creare una società nuova occorre davvero distruggere tutto quello che c’è stato fino ad oggi. Senti una risonanza tematica fra la trilogia e i tuoi Escape From L.A. e Escape From New York?
Sicuramente, ma George è più immediato. I miei film sono ambientati in un futuro, seppure prossimo, i suoi invece accadono nel presente. E poi mi sembra che (George) non abbia fatto ricorso a quella specie di eroismo, mitologia, «da cartoon» che c’è nei miei due film.
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