La scelta del primo titolo della collana «Mangrovie», delle edizioni Pidgin, dedicata alla letteratura postcoloniale non è di certo stata casuale e si può ben dire che abbia colto nel segno se l’obiettivo dichiarato del progetto è quello di «concentrarsi sulla ricerca di voci potenti e scritture originali dal continente africano e da regioni del mondo poco rappresentate nell’editoria italiana». Con Triangulum, seconda prova narrativa del sudafricano Masande Ntshanga (traduzione di Stefano Pirone, pp. 286, euro 18), la casa editrice napoletana Pidgin «specializzata in libri dalla scrittura ruvida, viscerale e sperimentale», offre un testo inquietante quanto avvincente, una parabola afro-futurista che lambisce i confini della fantascienza e gioca con le convenzioni di genere, mescolando sci-fi, mistero e romanzo di formazione. In un affresco storico-politico tanto lucido quanto allucinato del Sudafrica odierno, la protagonista ne narra i traumi e le ferite ancora aperte, spostandosi avanti e indietro nella storia dagli anni Sessanta del secolo scorso con il massacro di Sharpeville fino ad una distopica invasione aliena nel 2065.

DAL COLONIALISMO all’apartheid, passando per le homeland (o bantustan, entità politico-territoriali riservate ai neri in Sudafrica, sovrappopolate, povere di risorse e infrastrutture, che anche con l’indipendenza non ebbero riconoscimento internazionale e di fatto restarono dei serbatoi di manodopera per il Sudafrica bianco, con perduranti tensioni etniche, ndr), i protagonisti sperimentano la discriminazione razziale, la segregazione sociale e l’alienazione mentale, e cercano modalità per venire a patti con un fardello così pesante e spiragli di sopravvivenza per il futuro prossimo del paese e del pianeta.

Il romanzo si apre nel 2040 con il recapito di un pacco misterioso all’Agenzia spaziale sudafricana contenente una serie di frammenti redatti e registrati sotto ipnosi e informazioni vitali per il destino dell’umanità, nonché la profezia dell’imminente fine del mondo. Da qui la narratrice ripercorre la sua travagliata adolescenza e il passaggio all’età adulta nella complessa realtà post-apartheid del Ciskei alla fine del secolo scorso, confrontandosi con una setta apocalittica nota come I Ritornanti e con una cellula di eco-terroristi con inclinazioni anti-tecnologiche, che complotta contro il percorso rovinoso della rivoluzione industriale.

TRA DISTIMIA, disturbi schizoaffettivi, allucinazioni ipnagogiche, visioni extraterrestri, farmaci modulatori d’umore e «droghe dello stupro» – che circolano in gran quantità nell’ambiente scolastico – quella che poi diverrà una giornalista scientifica riconnette la sparizione della propria madre a quella di tre studentesse e denuncia i malesseri di un’intera civiltà malata, in stadio di avanzata pestilenza.
Co-protagonista delle vicende è Johannesburg, con la sua ambizione verticale, la sua architettura di acciaio e cemento e un progetto di rinnovamento urbano e riqualificazione delle township che tuttavia comporta un alto costo umano.
In una metropoli i cui ingranaggi «sputano uomini e donne in lavori sottopagati» e li sottraggono per farne esperimenti di valutazioni psicologiche, si accelera lo sviluppo attraverso la zonizzazione, ma si generano così nuove forme di schiavitù, con l’espropriazione di fatto dei nativi, rinchiusi nei luoghi di lavoro, e l’acquisizione da parte di questi ultimi dello status di immigrati nel nuovo Sudafrica industrializzato, posto sotto scacco dal neo-colonialismo delle multinazionali del digitale che tra big data, diseguaglianze economiche e potere corporativo minacciano di impadronirsi del continente africano.

IN UN SERRATO DIALOGO tra capitalismo e scienza, narrazione e distorsione visionaria, Triangulum genera un’amara riflessione sull’eredità e sugli effetti del progresso tecnologico e al contempo affronta tematiche legate all’identità, alla fluidità di genere, alla sessualità, alla genitorialità, alla salute mentale financo all’ecologia, questione sempre più pressante anche per gli artisti africani, come il nigeriano Bayo Akomolafe che ne restituisce una visione lirica e filosofica nel recente Queste terre selvagge oltre lo steccato.