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Jobs act in corsia, via i medici avanti gli infermieri

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Lavoro La Toscana è l’antesignana, segue l’Emilia Romagna. Un demansionamento per risparmiare e aprire la strada a un’ulteriore riduzione dell’occupazione nella sanità

Pubblicato più di 9 anni faEdizione del 28 marzo 2015

Il jobs act in sanità si chiama comma 566. E’ uno degli oltre 700 commi della legge di stabilità e che da subito, cioè ancor prima di essere tradotto in norme applicative, come primo effetto ha spaccato la sanità in due contrapponendo frontalmente medici e infermieri, le due più grandi categorie che sovraintendono unitariamente alla cura dei malati.
Questo comma è l’unico spazio normativo del governo Renzi in cui è sopravvissuta la concertazione, perché prevede che tutte le professioni non mediche possano fare «previa concertazione» un accordo Governo- Regioni ma per espropriare d’imperio i medici di alcune loro competenze attribuendole agli infermieri. Gli infermieri costano meno quindi le competenze dei medici svolte dagli infermieri costano meno . Con questo presupposto il comma 566 stabilisce, per non avere nessun tipo di opposizione, di escludere i medici dalla concertazione proponendosi così come una pericolosa conventio ad escludendum. Qualcosa di analogo è successo in Francia con la differenza che i medici francesi sono scesi in piazza in 40000 e il ministro Touraine dopo averli incontrati ha fatto sapere che la legge per trasferire competenze mediche ad altre figure professionali «non entrerà in vigore senza il consenso dei professionisti».

In Italia il comma 566 è stato messo in piedi, con la benedizione della ministra Lorenzin , dal Pd o meglio da diversi soggetti istituzionali, ordinistici e sindacali, tutti targati Pd, ma l’idea è venuta in primis alle Regioni, che per fini di risparmio, chiedono mani libere nell’impiego flessibile della manodopera professionale. Il governo attraverso il comma 566 asseconda le Regioni, vincolandole al principio assoluto del costo zero: le competenze degli infermieri definite «avanzate» ma solo perché prima erano svolte dai medici, non devono essere retribuite, con ciò proponendo di fatto una politica di dumping salariale. Per ridurre il costo del lavoro in sanità (che è il costo più cospicuo) si mettono in concorrenza le professioni. Il lavoro del medico, come se fosse una moneta, è svalutato in modo da “esportare” nei servizi competenze più a buon mercato.

Quindi un comma horribilis, che del tutto indifferente al problema morale e scientifico delle necessità di un malato, apre la strada in sanità a tre scriteriati presupposti: vicarianza delle professioni, fungibilità delle competenze, demansionamento a catena.

Con la prima si intende l’impiego flessibile di due professioni con ruoli distinti (medici e infermieri) considerando alcune loro competenze come intercambiabili. Con la seconda si intende la sostituzione di alcune competenze professionali appartenenti a professioni diverse ma considerate equivalenti quindi agibili indipendentemente dai diversi soggetti professionali. Con la terza si intende la possibilità di disgregare l’unità di una professioni in unità semplici, cioè in mansioni, in modo da demansionare qualcuno rimansionando qualcun altro lungo tutta la catena delle professioni coinvolte nel processo di cura.
La Toscana, antesignana di questo jobs act sanitario, teorizza la possibilità di togliere mansioni ai medici, darle agli infermieri, togliere mansioni agli infermieri e darle a generiche figure di assistenza (Oss). L’Emilia Romagna ha predisposto una delibera sull’assistenza a domicilio che interessa un gran numero di malati anziani e non autosufficienti, con la quale toglie mansioni agli infermieri per darle alle badanti per le quali prevede corsi di formazione di poche ore.

In tutti gli ospedali gli organici sono sottodimensionati e la maggior parte degli infermieri sono demansionati cioè fanno i tappabuchi sopperendo ad ogni esigenza professionale ma nell’impossibilità di agire la loro professione per come è normata dalla legge e per la quale sono obbligati a laurearsi. Si è appena raggiunto un accordo Stato-Regioni con il quale si possono impiegare medici non specializzati inquadrandoli con lo stesso trattamento retributivo dei dirigenti infermieri.

Oggi le Regioni, esaurite le politiche di compatibilità attuate nell’ultimo decennio (riorganizzazione, razionalizzazione, appropriatezza), stanno mettendo mano ad un “riordino” che in realtà è una destrutturazione controriformatrice del sistema , battendo quattro strade: centralizzazione della governance con conseguente liquidazione delle aziende e della loro organizzazione territoriale; privatizzazione di parte dei consumi sanitari attraverso sistemi mutualistici che non integrano ma sostituiscono lo Stato nei suoi doveri di tutela; taglio massiccio di posti letto degli ospedali e da ultimo, la vera novità, decapitalizzare il lavoro professionale considerandolo non il vero capitale del sistema ma il principale costo da aggredire.

Decapitalizzare il lavoro, con il comma 566, non significa solo blocco dei contratti e del turn over, quindi congelamento del suo costo , ma soprattutto la sua svalutazione con lo scopo finale di tagliare nel tempo il mercato del lavoro riducendo gli attuali livelli occupazionali. La legge di riordino della Toscana implica la liquidazione di almeno 1500 esuberi. In Campania si pensa di esternalizzare non più solo le pulizie e i pasti agli ammalati, ma pezzi importanti di lavoro clinico: a 1100 nuove assunzioni appena autorizzate corrispondono 800 stabilizzazioni a fronte di 15000 posti di lavoro persi negli ultimi anni.

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