Jim Finn, sulla via di Damasco
Festival Il regista statunitense racconta il suo «The Apocalyptic Is The Mother Of All Christian Theology»
Festival Il regista statunitense racconta il suo «The Apocalyptic Is The Mother Of All Christian Theology»
Lo schermino di zoom mi rimanda l’immagine di un Jim Finn ancora stropicciato dal cuscino, sono le sette del mattino dalle sue parti sulla West Coast, ma già pronto a parlare di questo suo The Apocalyptic Is The Mother Of All Christian Theology, premiato dalla giuria dei critici del Sncci alla 59ª mostra internazionale del nuovo Cinema Di Pesaro.
Il tono generale mi pare all’insegna del grottesco, della dualità…
Sì. Penso che ci siano due livelli, due poli opposti. Da bambino sono andato a scuola dalle suore. Mi amavano, amavano mia madre, amavano la mia famiglia. Quando sono diventato più grande, ho iniziato ad essere istruito dai sacerdoti e dai Fratelli Cristiani, più seri, più «controllanti». Erano preoccupati per i giovani che attraversavano la pubertà. Quindi volevano controllarti. Erano preoccupati per le tue opinioni politiche, la tua sessualità, tutto questo genere di cose. Allo stesso tempo avevo anche insegnanti negli anni ’80 che erano appassionati di teologia della liberazione, suonavano la chitarra e parlavano dei sandinisti. Sono questi i due poli contraddittori che stanno alla base del film. Da un lato il controllo, l’antisessessismo, gli aspetti respingenti e dall’altro l’amore, l’energia, il fervore rivoluzionario, l’innovativa cultura matriarcale della mariologia, la cultura mariana del cristianesimo che era davvero rivoluzionaria nel suo mettere al centro le donne investendole di elementi mistici.
Anche il tuo atteggiamento verso il cristianesimo è ambivalente…a cavallo tra profondo rispetto e ironia
Sì perché è ambivalente il Cristianesimo. È fondamentalmente irrilevante, ridicolo in certi aspetti da noi in Usa come nella maggior parte dei Paesi ricchi e istruiti, in cui le persone dichiarano di essere cristiane o cattoliche senza che questo poi influisca concretamente sulla loro vita, mentre ha ancora un valore rivoluzionario e salvifico in Asia e in Africa, o in Sud America, nuovi centri del
cristianesimo, dove è ancora una religione per persone che non hanno nulla e ancora trovano nelle chiese carità e sostentamento per sopravvivere, mentre nella fede la forza per andare avanti.
Una ambivalenza che riguarda anche l’immagine di San Paolo in qualche modo…
Ci sono due Paolo. Il Paolo della tradizione cattolica, il diacono calmo, il padre calmo pieno di attributi mistici: la mariologia, i miracoli.
E poi c’è il Paolo del cristianesimo evangelico integralista, quello da cui è sempre possibile citare passi utili al virile giocatore di baseball o di football, al nemico omosessualità o dell’aborto.
Questo è il grande problema dei giovani transgender e dei diritti dei gay: troveranno sempre quelli che dicono: «Non sono contro di loro. Sono solamente cristiano, quindi devo essere… » contro l’aborto, contro i gay o altro. Sono tutte cose che si fanno perché si è cristiani. E ogni volta si appoggiano a citazioni selezionate da Paolo. E allora voglio provare a capire chi è questo Santo. Cosa stanno citando?
Una ricerca dell’uomo al di sotto del suo mito che passa attraverso forme molteplici di rappresentazione e di logiche di generazione dell’immagine: riprese dal vivo, immagini generate virtualmente, spezzoni di film e telefilm, performance capture show televisivi e spot pubblicitari, immagini di internet, santini, manifesti, ecc.
Sì ma anche fonti storiche: mosaici paleocristiani, antichi dipinti raffiguranti San Paolo, stampe antiche, ecc., immagini solo apparentemente innocenti, dato che l’immagine è sempre una costruzione narrativa, prima che una riproduzione fedele della realtà.
Le immagini hanno una responsabilità, un ruolo storico nella codifica dell’immagine di San Paolo. Sono state costruite strategicamente e tramandate dalla Chiesa nel corso di 2000 anni attraverso l’opera degli artisti, soprattutto pittori e scultori, per promulgarne la rappresentazione da bad cop del Signore, il braccio armato della morale cristiana.
Reinventando il suo volto, creando una mia versione, ho solamente proseguito una tradizione di rappresentazioni di San Paolo vecchia di 1900 anni. L’immagine rinascimentale di un Santo bello, con lunghi capelli fluenti e barba ben curata è tardiva e posticcia. Fonti più antiche lo descrivevano come calvo e con un evidente mono sopracciglio, basso e robusto, con gambe arcuate, ma risalgono a duecento dopo Paolo.
Personalmente ho voluto creare una versione del Santo guerriero più fluida dal punto di vista del genere, perché credo che l’idea di lui come personaggio anti-trans, anti-gay, misogino, anti-ebreo, anti-semita non sia reale.
Quindi ho creato la sua immagine usando un sintetizzatore di immagini insieme a Linda Montana, una performance e video artist attiva sin dagli anni ’80. Avevo sentito della versione Beta di un videogioco su San Paolo che avrei voluto usare nel film, ma siccome non è stato mai realizzato ce lo siamo costruito da soli.
Quindi , ancora una volta, abbiamo guardato giochi da tavolo, videogiochi, film a 16 millimetri, film in VHS, testi antichi, mosaici e dipinti. Sintetizzando tutte queste visioni abbiamo potuto creare il volto virtuale del nostro San Paolo.
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