Jhumpa Lahiri: la violenza e la bellezza in Ovidio vanno trasformate per i nuovi lettori
Classico e Cancel culture La scrittrice di origine indiana che vive tra Stati Uniti e Italia, lavora a una nuova traduzione del poema: qui racconta la sua esperienza didattica a Princeton
Classico e Cancel culture La scrittrice di origine indiana che vive tra Stati Uniti e Italia, lavora a una nuova traduzione del poema: qui racconta la sua esperienza didattica a Princeton
Come leggere i classici è una domanda a cui mi sembra importante rispondere non solo a livello di teoria, ma anche in pratica, considerando, per esempio, in che modo fare lezione. Devo a Jhumpa Lahiri, la scrittrice di origine indiana che vive tra Stati Uniti e Italia, una delle esperienze più belle di quest’anno: abbiamo condiviso l’insegnamento di un corso sui grandi classici della letteratura occidentale, tra cui le Metamorfosi di Ovidio. Adesso, nel caldo estivo, possiamo prenderci un momento per riflettere su quello che, insegnando, abbiamo imparato anche noi.
Una delle questioni centrali ha riguardato il rapporto tra immaginazione letteraria ed esperienza vissuta sul corpo. In un momento in cui, negli Stati Uniti, le donne stanno perdendo il diritto all’aborto, anche in caso di stupro, ci siamo chieste quale fosse la maniera più giusta per parlare agli studenti di violenza sessuale e, specificamente, della metamorfosi limitante che, in Ovidio, sempre ne consegue: dopo un atto di violenza, infatti, il personaggio umano si trasforma in un essere inferiore – animale, albero, sasso. Come utilizzare le problematiche di oggi per interpretare i testi antichi? E viceversa, come trovare nelle Metamorfosi una chiave di lettura per la realtà presente? Allo stesso tempo, ci è sembrato importante insistere, a lezione, sulla distanza tra letteratura e vita. A qualche mese dalla chiusura del corso, vorrei riprendere il filo della conversazione e ascoltare le tue riflessioni.
«I testi antichi sono modernissimi e le Metamorfosi in particolare, motivo per cui sto traducendo il poema di Ovidio insieme alla nostra collega Yelena Baraz. Ovidio parla di mitologia: storie che non appartengono a nessuno ma che riguardano tutti. Nel poema, meravigliosamente caotico, incontriamo tutti i temi più attuali e scottanti, con un interesse particolare per l’appartenenza, l’identità e il genere. Ovidio si interroga su ogni tipo di confine e di classificazione che ci sia: uomo-donna, animale-essere umano, parola-immagine, terra-spazio, vita-morte. Parla anche molto di disastri naturali e degli effetti del cambiamento climatico. Da lettrice e traduttrice percepisco poca distanza fra quest’opera letteraria e la realtà di oggi. Più traduco questo testo e più mi sembra cruciale trasformarlo e presentarlo a una nuova generazione. Ovidio ci fa capire, per esempio, come il silenzio tutt’ora possa seguire e occultare una violenza sessuale. La vera minaccia sta proprio nel silenzio e nella presunzione anticipata del silenzio. Le vittime, in Ovidio, sono prive di voci, sono estraniate e ferite, non si riconoscono più. Trovo che l’empatia e l’intuizione di Ovidio verso i personaggi femminili siano straordinarie. Quanto al diritto all’aborto: qual è la differenza, mi chiedo, fra gli dèi che governano tutto, nell’universo ovidiano, e la Corte Suprema degli Stati Uniti? Ci sentiamo, giustamente, impotenti, frustrati, anche ribelli. Ma alla fine dobbiamo accettare una realtà amara: il mondo non è sotto il nostro controllo. Questa è una lezione ovidiana, tra l’altro: nelle Metamorfosi, come dicevi tu, si vede continuamente l’effetto degradante del potere».
Ricordo che una studentessa, parlando di stupro, ha proposto un paragone tra l’effetto della bellezza femminile sull’uomo e quello della poesia di Ovidio sul lettore: «Le “Metamorfosi” sono così belle che a volte mi forzano a fare dei pensieri che non vorrei nemmeno concepire: per esempio mi immedesimo con Apollo mentre Dafne scappa disperata. Si parla sempre della violenza degli uomini sulle donne, ma leggendo Ovidio ho cominciato a pensare all’effetto che la bellezza può avere su chi guarda o anche solo su chi legge – un effetto che può risultare nocivo e provocare ostilità». Ho fatto del mio meglio per rispondere in quell’occasione: mi chiedo, Jhumpa, che cosa avresti detto tu sulla bellezza e i suoi effetti…
La bellezza in Ovidio è, in primo piano, la bellezza della sua poesia, la bellezza della forma del testo stesso. Troviamo la parola forma nel primo verso (In nova fert animus mutatas dicere formas / corpora…) e poi compare dappertutto. Forma, come sai bene, è una parola estremamente ricca in latino. Vuol dire tante cose, fra cui aspetto, immagine, costituzione, bellezza, figura. Tornando a Dafne: lei supplica il padre: ‘fer, pater’ inquit, ‘opem, si flumina numen habetis; / qua nimium placui, mutando perde figuram.’ (“Aiutami, padre”, dice. “Se voi fiumi avete un potere divino, sciogli, mutandola, questa mia forma, per cui troppo piacqui”, 1, 546-7). Io leggo figuram in questo passo come una versione di forma. In Ovidio le parole sono fluide, cangianti, spesso i termini scivolano l’uno dentro un altro. Ossia è la bellezza, cioè la figura (o forma) di Dafne che va mutata. Interessante che questi versi cruciali su Dafne richiamino l’incipit del poema, anche con lo stesso verbo mutare. Allora, cosa ci sta dicendo Ovidio? Credo che, per lui, ogni cosa al mondo vada cambiata e che cambierà. La bellezza fisica è per definizione qualcosa di caduco, effimero. La bellezza della poesia permane, ma va anch’essa trasformata (e tradotta) per nuovi lettori. Alla studentessa direi che è importante immedesimarsi ogni tanto anche nei punti di vista più antipatici e violenti. Solo la letteratura ci permette questa esperienza ed è necessaria per la nostra umanità, soprattutto in questo momento in cui quasi tutti scalpitano per giudicare, criticare e cancellare gli altri. Sulla bellezza poi, dobbiamo distinguere fra bellezza fisica e superficiale, che poi per forza scompare, e bellezza sfolgorante delle parole plasmate dal poeta, che ci parlano e ci scuotono ancora.
Parlando di cambiamento, c’è sempre un momento, nel corso di una metamorfosi ovidiana, in cui il soggetto non è più quello che era, eppure non ha ancora preso nuova forma. È un momento che, lo so, ti interessa anche dal punto di vista linguistico. Ho imparato molto, ascoltandoti e leggendo il testo di Ovidio, sia in lingua originale che in traduzione, insieme agli studenti: per esempio, siamo andati a cercare il passo in cui Atteone non è più uomo ma nemmeno completamente cervo. Mi chiedo, tra tutti gli episodi di trasformazione e identità sospesa in Ovidio, quali siano i tuoi preferiti. Mi sembra, poi, che le «Metamorfosi» possano riflettere la tua esperienza di scrittrice, sospesa come ti trovi tra lingue e culture diverse.
Ogni trasformazione in Ovidio mi commuove. Rispondo sempre allo smarrimento che accompagna il mutamento, lo stato sospeso e silenzioso, la mancanza di un solo punto di riferimento: tutto ciò spiega la mia condizione personale e creativa e la mia nuova attività di traduttrice. Secondo me il capolavoro di Ovidio è un omaggio continuo, forse inconscio, alla traduzione, all’idea di esistere fra due realtà, di scavalcare i confini, di guardare allo stesso tempo indietro e avanti. A parte Dafne, con cui mi identifico, amo particolarmente, nel terzo libro, la trasformazione di Eco in sola voce e, nel quinto libro, la trasformazione di Aretusa in acqua.
Per molti anni hai diretto, a Princeton, il programma di scrittura creativa. Da quello che mi racconti e dai corsi che hai proposto in quel contesto, imparo che per te è importante leggere in maniera creativa, prima ancora di cominciare a scrivere. Forse allora bisognerebbe pensare alla figura dell’autore non solo in termini di originalità ma anche di metamofosi – tra lettura e scrittura, tra opera antica e libro futuro, tra ascolto e parola. Che cosa dici agli studenti, quando si presentano da te, in classe, col desiderio di imparare la creatività?
Ovidio è un po’ fissato con le origini. Il primo libro si conclude con la parola ortus: il nascere, il principio, il sorgere. Parla di Fetonte, un ragazzo che va in cerca del padre per capire chi sia. Finisce in tragedia. In generale, nelle Metamorfosi, c’è un’attenzione particolare alle origini dei personaggi, alla provenienza, solo che poi i personaggi cambiano, radicalmente, e le origini hanno poco a che fare con le loro nuova identità. Ovidio allora ridefinisce la parola «originale», anche perché la sua opera è poi una rilettura e una ricostituzione della mitologia, della geografia e dello spirito della Grecia antica. Morale: anche le origini sono instabili, fluide, e vanno interrogate, riconsiderate. Nel mio piccolo, ora che traduco me stessa dall’italiano all’inglese, non so più cosa significhi un testo originale. Agli studenti, in ogni caso, dico sempre le stesse cose: leggete, imparate nuove lingue, apprezzate e rispettate la forza della letteratura, amatela.
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