Jeffery Robinson, chi siamo, oltre violenza e razzismo
Intervista L’avvocato della storia si impegna da anni in una «guerra culturale», ora con il progetto «Who We Are»
Intervista L’avvocato della storia si impegna da anni in una «guerra culturale», ora con il progetto «Who We Are»
Incitata dal movimento trumpista, infuria negli Stati uniti la «guerra culturale» che verte sull’insegnamento della storia. Nel metaverso dei demagoghi populisti insegnare il bagaglio di violenza e razzismo insito nel passato schiavista equivale ad un assalto sovversivo ai valori patriottici.. Già due anni fa Trump si era erto a difesa dei monumenti agli eroi confederati contestati da Black Lives Matter riattualizzando le tensioni razziali ed identitarie come paradigma prevalente della parabola americana.
Da allora lo scontro si è ulteriormente esacerbato e la retorica di una «nuova guerra civile» ricorre ormai quotidianamente nell’America fratturata in cui il vessillo «stellacrociato» del Sud schiavista è stato sventolato nell’aula del Congresso durante l’insurrezione dello scorso gennaio. Tutto ammantato si capisce nella retorica contro la «dittatura woke», ma le denunce della cancel culture nascondono piuttosto una volontà di rimuovere un passato scomodo e ristabilire la narrazione suprematista contro cui si era battuto il movimento dei diritti civili.
La polemica si cristallizza principalmente nelle scuole dove vengono epurate le biblioteche e gli insegnanti vengono minacciati sulle chat dei genitori. In Nevada alcuni di loro (associati nella Family Alliance) hanno chiesto che nelle aule vengano apposte telecamere di sorveglianza per monitorare che le lezioni non contengano insegnamenti «disfattisti». Il Texas ha promulgato una legge che impone il «corretto insegnamento» per non inquinare le menti degli alunni.
Per contrastare questa operazione orwelliana Jeffery Robinson ha ideato il progetto «Who We Are» Inizialmente un ciclo di conferenze con diapositive sulla storia – ed attualità – del razzismo americano. Le conferenze si sono ora evolute in un documentario prodotto da Sarah ed Emily Kunstler, figlie del leggendario avvocato radical William Kunstler che negli anni 60 rappresentò i militanti delle Pantere Nere, i Weather Underground, i prigionieri della rivolta di Attica, il movimento degli Indiani d’America ed i Chicago 7.
Lei è avvocato, come è cominciato questo progetto?
Credo che educare la gente alla nostra vera storia, quella del suprematismo bianco e del razzismo anti-nero, sia l’unico modo per ricominciare davvero a muovere in avanti il nostro paese con soluzioni sensate. È l’antidoto a menzogne che durano da decenni se non secoli. Questo film è un primo strumento per tentare di integrare quello che insegnano le scuole.
Oggi si obbietta che insistere sull’insegnamento del razzismo provochi inutili traumi e complessi ai bambini…
Quando certi genitori bianchi oggi dicono ‘non voglio che i miei bambini vengano colpevolizzati, non hanno bisogno divenire traumatizzati dall’insegnamento del razzismo’ equivale a dire ai bambini neri che la loro esperienza non conta, che essi non sussistono o sono bugiardi.
E il rifiuto di affrontare un passato scomodo è una cosa incredibilmente pericolosa in questo paese. Solo l’educazione può ovviare a questa rimozione.
Perché pericolosa?
Abbiamo tutti visto ciò che è avvenuto il 6 gennaio di un anno fa. Ora siamo giunti al punto che si passano leggi che vietano l’insegnamento della storia. Perché crede che stia avvenendo questo? Succede perché la gente conosce le conseguenze di una conversazione finalmente onesta sulla nostra storia.
Le cose cambieranno, alcune cose crolleranno, i progressi potrebbero essere importanti e c’è chi il progresso non lo tollera. Potrebbe cambiare in maniera fondamentale il modo in cui gli Americani pensano alla razza e ai soldi e al potere. E ciò a cui stiamo assistendo oggi dimostra semplicemente che i poteri suprematisti costituiti, quelli che hanno dominato per secoli, confrontati con la prospettiva di un cambiamento, di una minaccia al loro potere, reagiscono violentemente.
Il rigurgito reazionario è esattamente ciò che ci aspetteremmo in un momento di potenziale cambiamento.
Ora, certo, ammetto che è anche ciò che si manifesterebbe se dovessimo tornare indietro quanto a giustizia razziale. Siamo letteralmente ad un giro di boa. E girare una nave che viaggia da 400 anni non avviene in un giorno o in un mese – potrebbe essere necessario un decennio.
Il nazional-populismo fomentato da Trump è intriso di nostalgia per il Sud secessionista e ideazioni di guerra civile. Come se lo spiega?
Bisogna capire che allora il Sud perse la guerra…ma vinse la pace. Furono capaci di una restaurazione quasi immediata, imponendo una narrativa propria agli eventi, hanno creato un pantheon di eroi coi loro monumenti ed hanno saldato da cultura «del Sud» con il razzismo della segregazione, rendendolo intrinseco al paese ed alle nostre vite. Questo intendo per ‘vincere la pace.’ E quello a cui abbiamo assistito il 6 gennaio è stata una continuazione lineare di alcuni di quelle tematiche: una bandiera confederata sventolata nel campidoglio per la prima volta nella storia d’America. Non è stato un caso, si è trattato di un messaggio molto chiaro. Per questo credo sia così critico conoscere la nostra storia, perché solo sapendo cosa è venuto prima potrai decifrare ciò che accade davanti ai nostri occhi.
Fra il movimento di Martin Luther King e Black Lives Matter l’America sembra aver un po’ perso la strada del progresso razziale, quando è avvenuto?
Credo che un momento critico sia stato il 1968, probabilmente uno degli anni più devastanti della storia americana. La gente si scorda che alle tragedie di quell’anno (assassinii Kennedy e King, ndr), fece seguito l’ascesa di Nixon con la sua Guerra alla droga e le politiche «law and order» di tolleranza zero. Le politiche anti crimine, perseguite in seguito anche da Clinton, costituirono allora una reazione repressiva e violenta del movimento per i diritti civili. Fu l’inizio di una crescita esplosiva del sistema carcerario Americano che continua a colpire in grande sproporzione gli Afro Americani.
Educare va bene ma oggi è in atto una vera regressione. E in alcuni stati mi sembra mostrare il vostro film nelle scuole verrebbe addirittura considerato illegale. Cosa si può fare a livello politico?
Beh, ad esempio c’è un disegno di legge federale che impedirebbe le misure restrittive al voto delle minoranze che oggi sono una realtà in vari stati. E naturalmente chi viene eletto presidente incide molto, sulla composizione della Corte suprema, ad esempio, e dunque sulla tutela dei diritti. I conservatori amano ripetere che gli Stati uniti non sono una democrazia diretta ma una repubblica e meccanismi come quello del Collegio elettorale effettivamente sono un ostacolo alla democrazia rappresentativa. La mia opinione è che la costituzione contiene anche gli strumenti utili a implementare il progresso che può produrre l’America che io mi auguro di vedere.
Oggi la destra sta fomentando una polemica sulla «critical race theory», in alcune scuole vi sono state vere e proprie insurrezioni….
Si tratta di una palese strumentalizzazione, anche perché quello della CRT è semmai un curriculum universitario. Nessuno lo sta insegnando nella scuola dell’obbligo.
Oltretutto questa corsa alla censura secondo me rappresenta un invito ai ragazzi. Cosa succede quando i genitori proibiscono ai figli di fare qualcosa?
Per quanto riguarda «Who We Are» se non ci fanno entrare nelle scuole, allora andremo nei doposcuola. Non possono impedirci di trovarci nei circoli civici dove inviteremo tutti gli studenti delle scuole locali. Gli offriremo la pizza e gli faremo vedere il nostro film e poi faremo una chiacchierata sulle cose che non vi stanno insegnando a scuola.
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