«Non chiamiamola intelligenza artificiale. Forse è più corretto parlare di intelligenza alternativa. E di alternative ne abbiamo bisogno eccome». Così spiega Jeanette Winterson, autrice britannica di primo piano che domani sarà ospite a Roma, allo Stadio Palatino, nell’ambito del festival «Letterature». Attualmente insegna Nuova Scrittura a Manchester ma all’attivo ha decine di libri, tra cui romanzi di grande successo (basterebbe citare il suo esordio Non ci sono solo le arance, del 1985, e il successivo, del 2011, Perché essere felice quando puoi essere normale?) e indimenticabili (Scritto sul corpo, del 1992). Ha pubblicato anche per l’infanzia e prodotto saggistica, in questa ultima categoria si colloca 12 bytes. Come siamo arrivati fin qui, dove potremmo finire in futuro (Mondadori, pp. 343, euro 21, traduzione di Chiara Spallino Rocca) in cui si interroga sul presente che abitiamo con uno sguardo che lei stessa definisce «ottimista».
L’ARGOMENTO che attraversa il volume è il rapporto con alcuni nodi contemporanei tra cui spicca la cosiddetta «intelligenza artificiale», ma anche qui, Jeanette Winterson – intervistata sulla questione – offre una lettura originale: «già tanto della nostra vita è artificiale, siamo ben lontani da uno stato naturale in cui essere umani. Nelle condizioni attuali, l’IA è solo uno strumento, non è senziente, non sa pensare da sola. Eppure questo cambierà. E a quel punto dovremo saper lavorare con qualcosa che non è fatta di carne ma è pur tuttavia intelligente. La mia speranza a questo proposito è che prenderemo atto che stiamo creando qualcosa che può funzionare e lavorare di pari passo con noi, e che sarà un modo completamente diverso di osservare e capire ciò che ci circonda. La tecnologia non è il nostro nemico, è il suo utilizzo che può essere pericoloso ma viviamo a un punto di svolta, in un momento in cui possiamo ancora scegliere».

Del resto, continua l’autrice, «l’intelligenza che chiamiamo umana è quella che ha combinato il gran caos in cui siamo. L’intelligenza dei computer non condividerà forse i nostri valori ma potrebbe non essere un male, considerando che quelli dominanti per noi sono denaro e potere. Per esempio a un sistema di IA non interessa il profitto, la corruzione, le lusinghe».
Tra letteratura, fantascienza, cinema, musica, arti visive, il tiro scelto dalla scrittrice predilige la mescolanza, la contaminazione transdisciplinare. Al tono divulgativo, di facile accesso per chiunque si voglia avvicinare ai temi, 12 bytes splende di un’attenta curiosità intellettuale. È in quest’ultima qualità che possiamo riconoscere lo scavo profondo cui Winterson ci ha abituati nei suoi testi precedenti, quelli in cui la domanda sullo spazio praticabile passa per la narrazione del tempo che ci sostanzia e sovverte.
CONCENTRARSI sull’intelligenza artificiale richiama allora il futuro che ci attende ma – grazie al sortilegio della parola letteraria – diviene un prisma di ulteriori mondi possibili. In tal senso, il riferimento potrebbe andare a romanzi come Il sesso delle ciliegie (1989) o ancora Gli dei di pietra (2007) e, tra i più recenti, Frankisstein (2019) in cui la diciannovenne Mary Shelley, nel 1816, si trova alle prese con la storia di uno scienziato che vuole creare una nuova forma vivente, mentre nell’Inghilterra degli anni Duemila imperversa la Brexit e in Arizona pullula una struttura criogenica in cui corpi morti aspettano di tornare in vita.
Quella giovane ragazza diventa sentinella profetica anche in 12 bytes, affiancata, secondo la volontà di Jeanette Winterson, da Ada Lovelace e dalla capacità visionaria che queste donne hanno avuto nell’intravvedere ciò che sarebbe accaduto poco oltre la rivoluzione industriale. Nonostante il deliberato tentativo storico e politico di semplificarne, o almeno diminuirne, il protagonismo.
«L’impegno delle donne in tal senso è stato prezioso – prosegue Winterson – e lo è ancora adesso, c’è una differenza e spero in una loro presenza sempre più massiccia anche a proposito delle tecnologie di cui stiamo parlando. Nell’agenda politica di oggi il problema è il modello maschile che analizza tutto separatamente e in cui non si riconosce l’interdipendenza. Se è vero che come esseri umani siamo sostituibili, dopo millenni di Homo sapiens, niente affatto sapiente, è altrettanto vero che o ci evolviamo oppure moriamo. Ma ribadisco: non è necessario vadano così le cose. Io sono sempre alla ricerca di nessi. Ecco perché credo che la gravissima crisi climatica, l’evoluzione della specie e il modo in cui utilizziamo le tecnologie non siano elementi disgiunti, sarebbe bensì cruciale e decisivo affrontarli insieme». Sono alleanze, connessioni che può riscontrare chi come lei per anni ha scritto a partire dal guadagno del femminismo. Altrettanto visionaria, dunque, come lo sono le scrittrici che, ragionando di letteratura, offrono luoghi simbolici generativi che si oppongono al pensiero mortifero e asfittico cui assistiamo.
NON È UN CASO che una parte consistente del volume sia dedicata a un altro tema fondante per Jeanette Winterson: la relazione, nelle sue declinazioni di affettività, sessualità e attaccamento. Molte delle storture che si presentano oggi sono legate all’uso di ciò che, nella realtà è una contraddizione più che umana. Al netto della proliferazione di bambole in silicone anatomicamente perfette, di simulacri o chatbot che mimano una docilità al servizio della fantasia maschile, Winterson sostiene che di fatto «l’intelligenza artificiale non ha sesso, gliene attribuiamo uno ma non lo ha. Oltre al fatto che non è binaria, è priva di genere. Supponiamo dunque di poter disporre di un sistema che può prendere decisioni non basate su interessi egoistici. Sembra affascinante, ed è proprio ciò che ci mette paura».
L’amore risente della mutazione in atto, lo scrive a chiare lettere l’autrice. Eppure il suo essere «condizionato» è una minima parte di ciò che è la sua scommessa vera. L’amore è forse, più di ogni altra cosa, quel che si posiziona come ciò che non può essere delegato. Sembrerebbe infatti parente di altri «resti», simili a quei misteri non replicabili e presenti in 12 bytes, che stanno «fuori dal linguaggio», sono dicibili in parole ma non si trovano «esattamente in esse» e neppure nel loro ordine. Succede per esempio con la poesia. L’amore allora, come la poesia, resta fuori, fa scricchiolare ogni onnipotenza predittiva, e la ragione è la stessa che risiede nello scambiare la coscienza con il cervello o la mente. Che cos’altro c’è, si chiede Jeanette Winterson nel suo libro. La risposta che viene data è semplice: «qualcos’altro. Strano ma vero».
* si ringrazia Marina Astrologo per la collaborazione