Jean-Louis Chrétien, professore di Storia della filosofia alla Sorbona, si è spento venerdì scorso all’età di sessantasei anni. La sua opera, al tempo stesso filosofica e poetica, prosegue da sola, accompagnata dall’amicizia, a volte dal fervore, della moltitudine di spiriti che essa ha già toccato. Per più generazioni di studenti di filosofia, tra le ultime due decadi del secolo scorso e le prime due di questo, è stato un maestro nell’arte di leggere i testi della tradizione classica, in particolare dei filosofi dell’Antichità e del Medioevo.

PRATICAVA quest’arte come era d’uso nelle scuole della tarda Antichità, facendo della lettura una vera prova filosofica. Così, il suo faccia a faccia con i filosofi si caricava di un significato che oltrepassava la semplice spiegazione erudita.
Con lui non si affrontava lo studio della Fisica di Aristotele senza chiedersi cosa restasse, oggi, di un’opera che la scienza moderna aveva così chiaramente smentito. E invitava a cercare in quelle pagine l’acutezza di un’interrogazione ontologica sulla mobilità delle cose. Tutta l’erudizione dei commentatori antichi, della storia delle scienze, della filosofia moderna e contemporanea, della letteratura e della poesia erano mobilitate per servire un’avventura filosofica che scaturiva nella lettura di Aristotele. Non gli mancava il motto di spirito, con cui ritmava e rilanciava l’attenzione. Così quando, introducendo il concetto platonico di anima, causa eterna del suo stesso movimento, diceva di non possedere a sua volta che una sola «automobile», vale a dire la propria anima.
La sua lettura delle opere antiche gravitava intorno al pensiero di Plotino e dei padri della Chiesa, senza mai smettere di confrontarsi con i contemporanei, a cominciare da Heidegger. Basterebbe leggere «La Réserve de l’Être», il suo articolo pubblicato nel volume dei Cahiers de l’Herne dedicato ad Heidegger nel 1983, per comprendere fino a che punto Jean-Louis Chrétien, alla fine del secolo scorso, ha imposto la propria impronta alla recezione della filosofia tedesca in Francia.

L’ONTOLOGIA heideggeriana si sviluppa con eleganza nella sua prosa a partire dalla semplice domanda: «Che cos’è un segreto?». Il concetto di segreto è via via distinto dall’oscurità notturna, dal nascosto, dall’oscuro, e presto accolto dal pudore che lo protegge, fino a rinascere nella gioia del cuore in lutto; Bonaventura, Aristotele ed Eraclito vengono a dar man forte per precisare e affinare ogni tappa d’una meditazione che, passo dopo passo, risuona attraverso un numero sempre crescente di testi di Heidegger. Così facendo, Jean-Louis Chrétien abbozzava la propria opera fenomenologica, della quale il segreto è una delle porte d’ingresso (Lueur du Secret, L’Herne, 1985).
Da un’opera all’altra, Chrétien ha proposto l’esplorazione fenomenologica di una forma d’esperienza i cui tratti appaiono poco a poco, nella misura in cui i testi accettano di rivelare i propri segreti a chi è stato capace di vincere la loro diffidenza. Il concerto dei pensieri antichi e moderni portava ogni testo a dare più dell’ordinario, aprendo porte nascoste.
Così, il lettore di Chrétien impara, per citare alcune delle sue opere, a scoprire l’irrequietezza del bello (L’effroi du beau, Cerf, 1997), l’oscurità della promessa (La Voix nue, Minuit, 1990), La vertigine della memoria (L’inoubliable et l’inespéré, Desclée de Brouwer, 1991), l’ascolto di cui il corpo è capace anche quando tocca (L’Appel et la réponse, Minuit, 1992), il chiaroscuro della stanchezza (De la fatigue, Minuit, 1996) o la speranza della fragilità (Fragilité, Minuit 2017).

ANCHE COME POETA Jean-Louis Chrétien proponeva uno sguardo nuovo alle cose e agli esseri. Lasciamo la parola a «Examen de conscience» (esame di coscienza) che chiudeva le sue «Leçons de nudité» (lezioni di nudità, in Effraction Brèves, Obsidiane, 1995): «au matin dans une fleur sauvage / en secret je me suis lavé / pour fiancer fuite et feu / j’ai pris septembre par la taille». Al mattino in un fiore selvaggio / in segreto mi sono lavato / per fidanzare fuga e fuoco / ho ghermito settembre per la cintola».

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(traduzione di Eugenio Renzi)