«A proposito di un’opera artistica – scriveva Jean-Jacques Nattiez nel suo Wagner androgino nel 1990 – è possibile dimostrare che certe interpretazioni sono più vere di altre»: proprio questa affermazione funziona da presupposto per il suo Wagner antisemita Un problema storico, semiologico ed estetico (traduzione e cura di Olga Visentini, che premette una Nota introduttiva pressoché interamente dedicata ai problemi legati alla traduzione, Ricordi-Lim, pp.740, euro 40,00) con una sostanziosa Appendice di testi wagneriani utili proprio a supportare l’interpretazione che Nattiez vuole offrire: L’ebraicità nella musica (1850-69), Che cosa è tedesco? (1865-78), i cosiddetti Supplementi a L’ebraicità nella musica (1869), uno scritto breve ma significativo del 1878 intitolato Moderno, e infine i cosiddetti Supplementi a Religione e Arte (1881).

L’intento di Nattiez, «scrivere un capitolo importante di storia della musica, e da un punto di vista fondamentalmente critico» si realizza attraverso una puntuale ermeneutica dei testi tradotti in Appendice. Nonostante la sua iscrizione di Wagner «alla piccola schiera dei grandi creatori della cultura occidentale» Nattiez non mostra alcun riguardo nei confronti dei famigerati testi del compositore presi in esame, la cui interpretazione è, a suo giudizio, tutt’altro che «scontata». Ricostruirne la genesi non solo non «allontana» Wagner dalle sue parole, ma, per Nattiez, favorisce una comprensione critica che funge da filtro e si trasforma in apprendimento.

Nel suo gesto illuminista, Nattiez attinge a diverse discipline (storia del pensiero, dell’antisemitisimo, della musica, della psicoanalisi), mettendo insieme un tentativo di storiografia tanto complesso e dialogante, quanto analiticamente attento, che fa coincidere l’opera d’arte con la vita dell’artista a tutto tondo. Un orientamento fortemente romantico, questo, il cui esito storiografico intende simultaneamente cimentarsi con larghissima parte dell’eredità del pensiero europeo.

È probabilmente anche grazie alla complementarità dei due gesti ermeneutici, l’illuminista e il romantico, che Nattiez può affermare: «considero che l’analisi del pensiero e delle opere di Wagner, così come viene svolta in questo mio libro, offra tutte le misure di salvaguardia necessarie alla pubblicazione dei suoi scritti giudeofobici e antisemiti».

Il lettore avvertito trova, in effetti, nelle pagine del testo di Nattiez i mezzi e i criteri più adatti e intelligenti per stigmatizzare le affermazioni antisemite wagneriane (interessanti i rinvii di Nattiez ai testi di Pierre-André Taguieff), ciò che dovrebbe permettere all’ascoltatore colpito dalla sensazione di venire vagamente «contaminato», nell’ascolto, dalle tesi antisemite del compositore, di pervenire a quel «wagnerismo ben temperato», che sarebbe auspicabile, riconoscendo al tempo stesso «quali forze oscure e confuse smuova in noi il sentimento del sublime che emana dalla sua musica».