Visioni

Jean-Daniel Pollet, la bellezza e le rovine dell’immagine poetica

Jean-Daniel Pollet, la bellezza e le rovine dell’immagine poeticaUna scena da «Méditerranée» (1963)

Jean-Daniel Pollet «Fuori Orario» dedica un omaggio al cineasta francese, i suoi lavori all’essenza del Mediterraneo. Una sinfonia visiva per un tempo fuori dai cardini, l’amore di Godard, il legame profondo con la Grecia

Pubblicato circa un anno faEdizione del 29 settembre 2023

«Oggi, un tempo, altrove». (Philippe Sollers per la presentazione di Méditerranée al Jeu de Paume nel 1994).

Nel 1962 Jean-Daniel Pollet, insieme Volker Schlöndorff, all’epoca suo assistente, intraprende un viaggio lungo 35.000 chilometri intorno alle sponde del mar Mediterraneo; il risultato di questo viaggio è Méditerranée. In verità nel film non vi è traccia del viaggio: nessuno spostamento, nessun nesso geografico e nessun racconto. Liberate da ogni vincolo, queste immagini dense, piene – a volte luminose, lisce e sensuali altre volte cupe e minacciose – si susseguono come delle note e si incatenano a comporre una sinfonia visiva. Una macchina poetica, un montaggio rivoluzionario, accompagnato nel suo farsi dalle musiche di Antoine Duhamel, che poi ha lavorato a molti altri film con Pollet, e punteggiato dalle parole di Philippe Sollers.

«Bassae» (1964)

IL RISULTATO è un film che sfugge a ogni categoria. Un film che pensa, che canta e che danza, per citare Yannick Haenel, un film che ci lega al senso di un eterno ritorno, a un tempo squadernato, scintille che accendono tracce di una memoria ancestrale che sta dentro di noi, che in quelle immagini a ogni visione ritroviamo il segno dell’essere umano.
Nel 1963 il film esce brevemente in sala in Francia, senza grande successo, ma l’interesse per questo oggetto rotondo e enigmatico resta sotto traccia fino a farne una sorta di culto; nel 1967 Jean-Luc Godard lo celebra sulle pagine dei «Cahiers du Cinéma»: «Come un’onda ogni giunzione viene a fissare e cancellare la parola ricordo, la parola felicità, la parola donna, la parola cielo. Anche la morte poiché Pollet, più coraggioso di Orfeo, si è voltato più volte verso quel volto angelico nell’ospedale di non so quale Damasco» (Impressions anciennes, «Cahiers du Cinéma», 1967) e molti anni dopo lo stesso Godard inserisce alcune immagini di Méditerranée prima in Film Socialisme e poi in Le Livre d’image.

C’è da invidiare chi, grazie a Fuori orario, vedrà questo film per la prima volta perché sta per essere investito da una bellezza struggente, sta per sorvolare le rovine di un mondo abbandonato dalla storia e intriso dalla nostalgia. Sta per scoprire un tesoro. Come è accaduto a chi nel 1998 ha assistito alla retrospettiva curata da Roberto Turigliatto al Torino Film Festival.

Pollet resterà per tutta la vita un glorioso caso isolato e unico, per la sua poetica e per il suo rifiuto di aderire ai meccanismi produttivi e industriali, e conserverà sempre un legame speciale con la Grecia, vista come la matrice dell’immaginario occidentale, il luogo ove affondano le radici dell’Europa, e lì girerà diversi film.
Bassae è un tempio nel cuore del Peloponneso, lontano dal mare, l’ultima opera dell’architetto del Partenone. Pollet in una manciata di minuti ci restituisce un luogo misterioso, un oggetto che ancora una volta interroga sul senso del tempo, che ci invita alla ricerca affannosa di qualcosa, forse del volto del dio in onore del quale il tempio stesso è stato eretto.
Ancora in Grecia ma un discorso a sé è L’Ordre, girato insieme a Maurice Born a Spinalonga, una piccola isola vicina alle coste di Creta che per oltre cinquant’anni è stata luogo di segregazione dei lebbrosi. Pollet vi si reca all’inizio degli anni Settanta, quando ormai esiste una cura, un luogo del genere non ha più alcun senso e gli abitanti hanno lasciato l’isola.
Il film si articola su due piani: le immagini a colori dell’isola rimasta deserta ma che ancora porta le tracce evidenti delle esistenze recluse, e le immagini in bianco e nero dei sopravvissuti che vivono accampati alle porte di Atene e che non hanno davvero fatto ritorno al mondo.

POLLET filma i volti sfigurati dalla malattia come statue antiche o come paesaggi segnati dalle intemperie. In Epaminondas Raimondakis, portavoce dei lebbrosi, che racconta della necessità di elaborare un modo di vivere per restare esseri umani pur relegati in uno spazio maledetto, trova un indimenticabile emblema di resistenza e di ribellione: «A Spinalonga noi avevamo forse creato una società ideale».
Gaël Teicher con La Traverse ha restaurato l’opera di Pollet che avrebbe dovuto essere oggetto di una retrospettiva completa alla Cinémathèque Française nel marzo 2020, ma che è stata quasi immediatamente interrotta a causa della pandemia. Quello di Pollet è un cinema così fuori dal tempo da essere saldamente ancorato nel futuro e che per questa ragione merita di essere oggetto di una continua riscoperta.

Inizia stanotte all’1.40 l’omaggio di Fuori Orario, in onda su Rai3 (e successivamente su RaiPlay). Ad aprire la programmazione «Méditerranée» (1963), seguirà «Bassae» (1964) e «L’Ordre» (1973). Appuntamento poi venerdì 6 ottobre all’1.45 con «Contretemps» (1988). Di quest’ultimo film si può leggere nella presentazione: «Film unico nella storia del cinema, stupefacente e misconosciuto, Pollet compie un lavoro di distruzione e di ricomposizione delle sue opere precedenti». Le notti sono a cura di Roberto Turigliatto e Fulvio Baglivi e saranno dedicate a Michel Demopoulos, ex direttore del festival di Salonicco morto lo scorso aprile. I film sono tutti in Prima visione tv.«Un film non come gli altri» su Rai3

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