Per festeggiare il suo venticinquesimo compleanno il Festival Jazz & Wine of Peace
di Cormons ha scelto di iniziare celebrando un’altra ricorrenza: i cento anni dalla
nascita di Charles Mingus. Un doppio omaggio alle musiche del grande musicista a
cura di un quintetto guidato da Giovanni Maier e un duo con le ance di Daniele
D’Agaro e il contrabbasso di Alessandro Turchet, entrambi documentati su cd.
I ventisette concerti spalmati sulle cinque giornate tra Teatro Comunale, dimore
storiche e cantine della rinomata produzione del Collio italiano e sloveno hanno
offerto uno sguardo di grande apertura sulle diverse declinazioni del linguaggio
jazzistico nazionale e internazionale dalla classe inossidabile dell’ottuagenario
Michel Portal al nuovo trio del tenorista afroamericano James Brondon Lewis,
davvero entusiasmante per il suo eloquio predicatorio e la netta impronta rock della
ritmica composta da Christopher Hoffman al violoncello e Max Jaffe alla batteria.
Nel concerto, tra i migliori del Festival, hanno presentato in anteprima il loro disco in
uscita il prossimo febbraio per la Anti Records di Tom Waits.

UN MONDO che si sta sempre più polarizzando e dove premono le emergenze,
climatiche e sociali, ha bisogno di risposte radicali. Proviamo perciò a leggere
attraverso questa lente alcune tra le musiche ascoltate nella ricca programmazione.
La radicalità della parola: «dobbiamo combattere la rinascita globale del fascismo, in
Usa come in Russia». Così l’indo-americana Amirtha Kidambi, leader del quartetto
combat-jazz Elder Ones. Una miscela di noise, punk, energy music e parole di fuoco
contro ogni tipo di discriminazione e sfruttamento.
La radicalità del suono: l’urlo e il sussurro. Three Tsuru Origami è il disco presentato
da un nuovo trio italo-inglese e pubblicato dalla coraggiosa etichetta We Insist!. A
formarlo sono il trombettista Gabriele Mitelli, il contrabbassista John Edwards e il
batterista Mark Sanders. Temini-cantilene alla Don Cherry, saturazione del suono
fino alla insostenibilità, reminescenze di dixieland e jazz sudafricano. Mitelli urla
dentro e fuori dagli strumenti e canta canzoni-mantra. I due inglesi hanno i sensi
sempre all’erta e non lasciano mai nessun spazio all’incertezza. Una musica che
chiede e restituisce molto. Alla fine si unisce a loro il sassofonista Daniele D’Agaro
per una imprevista festa collettiva. Ai Festival capita di assistere, per fortuna, anche a
questi momenti magici.La radicalità del ritmo: ovvero il ritmo non solo come base ma come struttura dell’intera costruzione sonora.

LA RADICALITA’ della gentilezza: precisione, nitidezza, garbo. Il trio Thumbscrew del
batterista Thomas Fujiwara, del bassista Michael Formanek e della chitarrista Mary
Halvorson offrono un jazz che ricorda il camerismo west-coast ma solo nelle
intenzioni. Musica intelligente e di grande spessore. Oggi tra i migliori esempi di trio
jazz che sappia coniugare abilità compositiva e solido interplay. Halvorson sempre più brava e oramai ascolto imprescindibile per chi voglia seguire l’evoluzione del chitarrismo jazz.
La radicalità del ritmo: ovvero il ritmo non solo come base ma come struttura
dell’intera costruzione sonora. Dalla attualizzazione contemporanea del patrimonio
afro-cubano da parte del sestetto Guantanamo di Fabrizio Puglisi al duo tra la
batteria di Hamid Drake e il vibrafono di Pasquale Mirra. Il trionfo della gioia
danzante. Drake e Mirra esprimono tutto il piacere di suonare insieme, una fratellanza
sonora che è insieme competenza strumentale e sintonia. Quando un concerto non è
solo comunanza tra musicisti ma anche, e soprattutto, tra esseri umani. Quello di cui
abbiamo oggi più bisogno.