Jannis Kounellis, moderno estremità dell’antico
Divano La rubrica settimanale a cura di Alberto Olivetti
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Certosa di Pontignano, martedì 9 marzo 1999. Ho invitato Jannis Kounellis a tenere una lezione presso la cattedra di Estetica della Scuola di specializzazione di Storia dell’Arte dell’Università di Siena.
Argomento: «Moderno estremità dell’antico».
Dal taccuino dove le appuntai, trascrivo qui alcune sue parole.
«La pittura moderna indica una centralità. Uno spazio vero: un centro. Contro pop contro moda. Determina lo spazio e ridà una dimensione pubblica.
Con Pollock si può essere dialettici, con la pop no.
Sono un artista italiano perché la chiave per una lettura corretta del mondo è il Rinascimento. La Grecia è un patrimonio comune.
La storia del nuovo è legata all’idea della poesia. Appartenenza a una civiltà umanistica. Il pittore è attore di atti unici. Immagini ripetute (cavalletto). Immagine unica (affresco). I Cavalli un ritorno all’affresco. Perimetro è un fatto sacro. Prima dei Cavalli: rapporto tra struttura e sensibilità: Pappagallo, Margherita poi il Perimetro con i fuochi.
Ritorno dell’ombra rispetto ai colori piatti del pop e del minimal: volere le ombre, volere Caravaggio, Masaccio. Immaginario formalizzato in Italia. Masaccio più di ogni letterato ha costruito il Rinascimento. Masaccio e Caravaggio: quello che hanno indicato come posizione di un pittore.
Noi gente del tardo dopoguerra, idea di forza e di amore vero. Nell’Ottocento le collettive. La personale è come un romanzo, indica una responsabilità nuova. Con la moda non si può fare Guernica.
Il potere vuole un artista decorativo. Maleviç ha dato una forma alla cultura russa, l’effetto di una rinnovata trinità. Maleviç era un uomo di cultura forte. Il mio problema sulla materia è il contrario dell’informale. Fontana: un santo uscito da un romanzo spagnolo. Si accetta e giunge a una estremità sconosciuta. Fontana riafferma con violenza una immaginazione mistica. Deve aver visto questo taglio in una Crocifissione (non Zen). Enormi possibilità dell’arte moderna senza il modernismo.
Anche questo taglio ha un passato credibile. Pollock cerca i passati, cerca uno spazio americano. Non quadro di cavalletto. Fautrier, pur grande artista, cade per la sua palette settecentesca. Fragonard e Fautrier. Quando siamo nati Fautrier non ci bastava più. Ci ha aiutato moltissimo a riflettere. Generazione maestra di libertà. Poi ordine e statalismo in senso liberal consumistico. A noi per fortuna Fontana ha lasciato una grandissima eredità. Senso dialettico di libertà.
La libertà non si ritrova nella negatività.
La realtà: che sogno vogliamo di nuovo presentare. Il problema è: quanto ancora possa essere rappresentato. Un quintale di carbone all’interno di un posto pubblico. Non ho mai fatto fotografia. Gli artisti sono uomini antichi.
Gli artisti sono pochissimi. Per quanto rari, non possono non essere antichi. Non c’è niente di nuovo da trovare.
Il ri-trovare è molto più forte ed espresso: così il ‘nuovo’ merita credibilità. Non così il ‘nuovo’ che viene da mondi di interessi.
Artista un acrobata che gioca con la morte. Per questo è attrattivo. È attrazione erotica. Perché è sconvolgente. Grandezza sconosciuta che viene da un mondo antichissimo. Antichità in un futuro ritrovato. Questa è l’operazione artistica.
Carbone è, per quanto tocca l’uomo. È un epos. È letteratura, non geologia.
Carbone come moralità di fondo. C’è teatralità, ma non spettacolarità.
Cavalli: tutti respirano anche le opere con i visitatori. Condizione intellettuale estrema. Io non penso agli oggetti. Desiderio di sacralità. Appropriarsi del nucleo vuol dire ritrovare la verticalità. “Dio mio abbi pietà di me”: ritrovi qui il ritmo della verità.
Non disegno. Non so disegnare. Prendo degli appunti come un letterato, ma senza volontà di fare un disegno.
Armonia delle cose nelle distanze. Trovare il potere per poter presentare una novità. Molto difficile perché manca il potere. Caravaggio ce lo aveva.
Il centro si coglie attraverso una formalizzazione. Il centro è un segno in comune con la lingua».
Quella sera passeggiammo a lungo, Jannis ed io, nei chiostri della Certosa. C’era la luna. Entrava nell’ultimo quarto.
Ricordammo Piero Sadun: nascosto a Pontignano per fuggire le persecuzioni razziali, nel ’43 vi dipinse un affresco.
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