«So che alla mia età, allora poco più di trent’anni, la maggior parte delle donne avrebbe avuto l’aiuto di un compagno, di un marito, di un amico. So anche che non esiste “la maggior parte delle donne” e che non essere una di loro, per mancanza di inclinazione o perfino per incapacità non è un fallimento personale: il fallimento sta nelle aspettative degli altri». Lo scrive Janet Frame in Un angelo alla mia tavola, uscito in Italia agli inizi degli anni Novanta, una decina di anni dopo dall’uscita in lingua originale. Il grande successo della scrittrice neozelandese in Italia nasce dal film tratto da questo libro, con lo stesso titolo, della regista anch’essa neozelandese Jane Campion, che esce nelle sale nel 1990 vincendo il Leone d’argento alla 47ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia. Una intera generazione scopre Frame tramite Campion, due donne che dalla Nuova Zelanda danno uno spaccato di vita che parla sino a oggi.

La citazione in cui dice che «non esiste la maggior parte delle donne» arriva a chiusura del suo lungo libro, che è un romanzo ed è anche una autobiografia, è una testimonianza in prosa che è anche scrittura manicomiale. Perché Frame racconta della sua vita, poverissima, nella Nuova Zelanda dei primi decenni del Novecento, nella casa trasportabile che ogni tot di tempo veniva installata in un luogo diverso, inseguendo il padre lavoratore nella costruzione della ferrovia. Tre sorelle e un fratello, con problemi di salute, e una madre grande raccontatrice di storie. Una infanzia e una adolescenza tra povertà e semplicità quella di Janet, emarginata e bullizzata da amichetti e insegnanti per il suo essere un poco fuori peso, rossa di capelli, riccissima, con le efelidi, con abiti spesso consunti e rigidi dall’uso, talvolta sporca. Un’esistenza tuttavia serena tra giochi semplici, qualche ragazzina che accetta di giocare con lei e i libri.

I libri segnano, sin da giovanissima la sopravvivenza della piccola Janet e arrivano a lei grazie all’unico maestro che le tende una mano: gliela tende perché legge una sua composizione e capisce cosa giace in Janet di prezioso, il suo dono. Lei scrive da qualche tempo versi nei quaderni dei ferrovieri che il padre le porta in dono; e grazie al maestro ha accesso a molti libri che porta a casa per tutta la famiglia e che leggono insieme o in solitudine. Lì Janet capisce che i versi di Shakespeare come la storia delle sorelle Brönte parlavano anche di lei, delle sue sorelle, della sua famiglia, della sua vita: di come la letteratura si riflettesse nella sua vita quotidiana. Decide di proseguire gli studi per diventare insegnante, grazie alle borse di studio che vince. Ma il suo essere così al di fuori dagli schemi, spesso derisa, molto introversa, moltissimo, non passa inosservato e basta un compito assegnatole in cui lei scrive già «fiction» ma il professore pensa reale, e si spalancano le porte del manicomio. Quasi sette anni di reclusione e centinaia e centinaia di elettroshock – stiamo parlano della Nuova Zelanda degli anni Quaranta e Cinquanta – quasi il corrispettivo dell’esperienza manicomiale in Italia di Alda Merini.

Janet si salva dalla lobotomia, esattamente il giorno prima della data in cui era stata fissata, grazie a un premio letterario. Esce dal manicomio, il medico che la segue deve aver pensato che non è esattamente pazza, solo scrive. Esce e scrive. Il più poetico e agghiacciante libro sull’internamento manicomiale, Dentro il muro oggi con il titolo Volti nell’acqua, che fa da controcanto all’altro diario di una esperienza psichiatrica violenta (ma quale non lo è), il feroce e lirico La pazza della porta accanto di Alda Merini.
Dopo aver vinto alcuni premi per i suoi racconti, alcuni anni dopo il rilascio del manicomio viaggia, viaggia in Europa, affrontando quelle esperienze che fino ad allora le erano state precluse: viaggia e scrive, incontra persone, frequenta persone, sempre con la sua indole riservatissima e ancor di più dopo gli anni traumatici dell’internamento. E prima di rientrate in Nuova Zelanda, dove nel frattempo ha perso quasi tutta la sua famiglia, decide di affrontare la sua malattia rivolgendosi a un ospedale londinese: Janet cerca delle risposte alla diagnosi nefasta che le venne appioppata. Alla fine di un ciclo di incontri lo psichiatra le dice che la terapia è finita, che se non ha voglia di socializzare non socializzi e di scrivere, scrivere la sua storia, una storia che non è quella della maggior parte delle donne, anche perché non esiste la maggior parte delle donne.

Lei scrive. Come Merini scrive, come Kristof scrive, come Mansfield scrive, come Sapienza, Bruck, Ramondino, Oppezzo, Bedford, Cialente. Solo per citarne una minima parte. Tutte donne che scrivono per ricostruirsi una identità spezzata da traumi, per poter continuare a vivere, donne che devono impalcare il presente di parole per poter guardare al futuro. Nelle scuole superiori, per alcuni anni, con «I piccoli maestri», ho raccontato la storia di una ragazzina vissuta al margine in cui solo una persona si è sforzata di vedere il dono, la scrittura. Una ragazzina che divenuta donna ha fatto della scrittura la sua vita, scrivere come zattera di salvezza e come buon tempo e luogo dove stare. Innumerevoli studenti di innumerevoli classi che a occhi spalancati ascoltano una storia del secolo scorso dall’altra parte del globo che parla anche di loro anche a loro.

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Di questo si parlerà oggi (a Milano, al Banco BPM nella Sala delle Colonne, ore 18.30) nell’ambito della quindicesima edizione di Strane Coppie – che nasce in seno a Lalineascritta Laboratori di Scrittura di Antonella Cilento, una delle scuole di scrittura più longeve d’Italia con sede a Napoli – nella Sale delle Colonne del Banco BPM, in cui saranno due scrittrici, Katherine Mansfielfd e Janet Frame, e il loro luogo, la Nuova Zelanda, l’argomento della narrazione attraverso i loro libri e con il racconto di Anna Toscano e di Marta Morazzoni, con l’immancabile e prezioso coordinamento di Antonella Cilento, le letture di Milvia Marigliano e la musica di Paolo Coletta. E come già è accaduto, anche molte persone adulte saranno a pensare come quella storia di quel tempo e di quei luoghi parli anche di loro.

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SCHEDA. “STRANE COPPIE” A NAPOLI PER LA QUINDICESIMA EDIZIONE FINO AL 14 DICEMBRE

“Scrivere dal Mondo: donne, visioni, guerra”, questo il tema scelto per l’ultima edizione del festival che si terrà a Napoli nella sede del Musap, con il primo evento, dedicato a Italo Calvino, che si è tenuto il 5 di ottobre a Palazzo Reale e il secondo a Milano, con Anna Toscano e Marta Morazzoni. Gli altri incontri si svolgeranno tutti a Napoli. All’edizione di quest’anno prendono parte Antonio Franchini, Giuseppe Montesano, Marta Morazzoni, Anna Toscano, Igiaba Scego, Titti Marrone, Valeria Viganò, Giuliana Misserville, José Vicente Quirante Rives, Maristella Lippolis, Sandra Petrignani, Alberto Rollo, Laura Bosio, coordinati nei loro incontri da Antonella Cilento. Qui il programma completo del festival.

Il festival è ideato e progettato da Antonella Cilento e la sua Lalineascritta Laboratori di Scrittura, una delle più antiche scuole di scrittura d’Italia e la più antica del Sud: la scuola, fondata da Antonella Cilento nel 1993, compie nel 2023 trenta anni di attività.