Visioni

Janelle Monáe e Giorgia, voci oltre i confini

Janelle Monáe e Giorgia, voci oltre i confiniJanelle Monáe – foto di Francesco Prandoni

Musica Al Lucca Summer Festival doppio live set con la cantante romana e la star americana pupilla di Prince

Pubblicato circa 5 anni faEdizione del 20 luglio 2019

Tra le kermesse estive Lucca Summer Festival caratterizza i suoi cartelloni con serate a tema, facendo spesso incontrare sul palco allestito nel cuore della città vecchia a piazza Napoleone, sfaccettature diverse di uno stesso genere. Il comune denominatore di Giorgia e Janelle Monáe è duplice: ugola possente e una passione soul e funk anche se ovviamente declinata in maniera differente. La cantante romana è nel pieno della sua maturità: consapevolezza dei mezzi vocali, duttilità interpretativa e empatia con il pubblico. Per il nuovo tour – giocato in buona parte sul recente Pop Heart che include libere versioni di classici del pop nazionale e internazionale – si affida a una band muscolare guidata da Sonny Thompson (nel giro di Prince per molti anni) e due ottimi vocalist che la affiancano: Diana Winter e Andrea Faustini (talento uscito da X Factor 2014). Apertura sulle note di Le tasche piene di sassi di Jovanotti e poi un crescendo in cui scalda la voce e stringe il contatto con gli spettatori: dai classici (E poi tutto glissati e note acutissime, Come vorrei, la drammatica Oro nero) alle cover degli Eurythmics (Sweet Dreams), Zucchero (Dune mosse) per esplodere in un vero e proprio dj set a cura del batterista Mylious Johnson che si chiude su I feel love di Donna Summer. Giorgia ne esce vincente facendo uscire quell’anima che troppo spesso nei dischi si piega ad arrangiamenti raffinati ma freddi.

Giorgia, foto di Francesco Prandoni

CAMBIO PALCO lungo ed elaboratissimo prima che parta il set della cantante di Kansas City. Una piramide bianca si staglia al centro della scena da cui emerge Janelle Monáe in aderentissima divisa nera e rossa con berretto. E se con Giorgia il soul si confronta inevitabilmente con la canzone, qui siamo dalle parti dell’r&b contemporaneo con derivazioni funk e pop. Settantacinque minuti in cui Janelle dimostra di essere cantante, autrice e performer di assoluto livello capace di maneggiare i generi contaminandoli con l’elettronica ma in un impasto unico e originale. Con la benedizione di Prince – che con lei collaborò in Givin’em What they Love nell’album della sua consacrazione The Electric Lady (2013), la musica di Janelle non esprime solo piacere e estetica pop, ma anche presa di posizione sociale.

COME MOLTI altri artisti afroamericani, Monáe ha messo la sua esperienza al servizio di Black Lives Matter e non è un caso che i testi del suo disco più recente – Dirty computer (2018) – siano decisamente più espliciti e politici che in passato. Crazy, classic life campiona la frase di Luther King sulla dichiarazione di indipendenza: «Ci hanno detto tutte le verità che dovrebbero essere evidenti: che uomini e donne sono stati creati allo stesso modo». Canta, rappa e si muove dinamica insieme alle quattro danzatrici. Canzoni che parlano di amore, di accettazione di sé e di sesso. Janelle è bisessuale – anzi ha tenuto a ribadire in un’intervista «pansessuale» – e molte delle sue storie sono inni all’«woman pride», come in Django Jane in cui rappa 64 barre senza interruzione: «Da donna afroamericana sento che i nostri diritti vengono calpestati, anzi che noi veniamo calpestate e questa cosa mi fa molto arrabbiare». Il concerto sale di intensità: ecco l’ironica e gioiosa Pynk, inno al sesso nelle sue più esplicite forme in cui indossa i celebri «vagina trousers» e si chiude con la catartica Tightdrope, lanciando un augurio ai fan: «Lottiamo contro le discriminazioni e per mettere sotto impeachment Donald Trump».

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